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Nosferatu, Maria e Better Man: il 2025 al cinema si apre con tre blockbuster e un’anteprima

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Siamo entrati nell’anno del Giubileo 2025, e gennaio già pullula di titoli altisonanti. Il primo non si aggancia poi così bene all’Anno del Signore, ma tant’è. Parliamo di Nosferatu di Robert Eggers, agognata riedizione del capostipite horror firmato Friedrich Murnau e risalente a oltre 100 anni fa. Quando lo guardammo per la prima volta all’università quel film del 1922 con il suo linguaggio così antico faceva sorridere a fine anni 90, non spaventare a morte come fu quando uscì al cinematografo. Studiare quel gap culturale lievitato nei decenni fu appassionante, e ancora continua. Era necessario riscrivere quella storia vituperata dai discendenti di Bram Stoker, autore di Dracula, che non riconobbero al regista tedesco i diritti per realizzare il film, anzi, lo denunciarono comunque.

Eggers riparte proprio dal vecchio Conte Orlok (giammai Dracula) rendendolo visivamente come il protagonista più buio di sempre, sia per l’illuminazione che nel carattere. Lo inquadra pochissimo, con i suoi mustacci e il naso importante soltanto intravisti, che però lo marcano profondamente, ancor più che agli uomini della comunità intorno al suo castello transilvano. Un nascondimento dell’icona che si preannuncia già dalla sua ombra su Ellen, moglie dell’immobiliarista che gli venderà una nuova dimora in Germania.

Quell’ombra iconica del mostro a figura intera nel ‘22 si limita a una longa manus per Eggers. Una mano oscura e manipolatrice che agisce sulla giovane protagonista in un rapporto quasi telepatico, insano e possessivo. Il vampiro di Eggers non ha nulla di vagamente romantico, né la profonda passionalità gotica di Stoker ovviamente, ma tantomeno l’ingenuità mefistofelica della creatura di Murnau. È una rappresentazione di puro male secondo il regista americano, un predatore che oggi può calzare come metafora tremendamente drammatica di femminicidio e dinamiche tossiche.

Uscito a Natale in Usa e in diversi paesi, ha superato quota 51 milioni di dollari globali per adesso. Chissà come si collocherà in un immaginario collettivo oggi popolato di miriadi di vampiri davvero per tutti i gusti. E chissà cosa penserebbero Stoker e Murnau della varietà, quantità e qualità di succhiasangue, compreso questo, che li hanno seguiti tra libri e film.

Lui invece si è sempre visto così, ci dice nel prologo di Better Man il protagonista Robbie Williams, e così lo vediamo. Come una scimmia di quelle del Pianeta, ma calata in un biopic musicale dal ritmo contagioso, sia per le canzoni ben note, sia per la costruzione del regista Michael Gracey. Dietro allo scimmiesco CGI c’è Jonno Davis, attore protagonista totalmente eclissato dallo stesso ruolo che copre. Il suo scimmiotto Robbie si muove come una star fin dall’infanzia, quella stessa star un po’ crooner, come il papà e Frank Sinatra, un po’ pop come membro più pazzerello di una boy-band. “Let me entertain you” canta Williams. E il suo film lo fa bene.

Dalla cresta allo smoking e attraverso i fratelli coltelli dei Take That Robbie vive successi, caduta, dipendenza e rinascita. Il suo film trasuda narcisismo, del resto è di una pop star che si parla, rilancia la sua immagine nell’ottica di nuovi progetti discografici ed è messo su con un perfetto percorso dell’eroe. Tutti gli stilemi di Mr. Williams sono presenti, più i personaggi che ne hanno segnato l’esistenza. Anche i fratelli Gallagher degli Oasis, gli altri ragazzacci inglesi in cima al mondo delle hit in quel periodo a cavallo tra due millenni. Per ora non viaggia su grandi incassi Better Man, e sarebbe un peccato se diventasse un flop perché vale molto di più.

Giungiamo alla nota dolente di questo gennaio su grande schermo. Maria è il film meno politico tra quelli di Pablo Larraín. Ma non è questo il suo difetto. La sua trilogia di biopic su grandi donne del ‘900 si conclude con il crepuscolo di Maria Callas, le sue infinite prove per sperare di tornare a esibirsi e la vita casalinga con il suo maggiordomo e la cuoca, interpretati da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher. Ma il problema non è neppure questa genuflessione dei nostri attori con i loro ruoli, che invece fanno vivere al meglio. Protagonista è una Angelina Jolie completamente avulsa dal personaggio quanto dall’icona e dall’artista che doveva impersonare.

La sua Callas non è mai credibile, e non è una questione di canto. Lontana anni luce nell’aspetto e ancor più dall’energia e dal carisma di quella donna, se ne percepisce la distanza siderale nei titoli di coda, per mezzo delle foto d’epoca che ritraggono il soprano più importante di sempre. Quella sua luce negli occhi in Jolie è assente. Una scelta sbagliata dal cast, alla quale in molti, chissà perché hanno abboccato. In più il regista, in tema di grandi donne rinchiuse in ozi dorati, non dice molto più di quanto non ci avesse mostrato in Spencer, né riesce a volare alto come con fu con Jackie. Meriterebbe una nomination giusto per i costumi. A livello globale ha incassato poco meno di 1 milione di dollari, dei quali 360 mila euro al 6° posto del box office italiano. Chissà se spiccherà il volo.

Concludiamo con uno sguardo d’anteprima su Here, che sarà nelle nostre sale dal 9 gennaio. Robert Zemeckis è uno sperimentatore ancor prima di innovare. Alcune volte non vi è riuscito, ma tante altre sì. I suoi interventi sul linguaggio cinematografico sono importantissimi. A partire dall’incontro-scontro dei cartoon con gli attori veri in Chi ha incastrato Roger Rabbit? fino all’animazione 3D di Christmas Carroll passando per la trilogia perfetta di Ritorno al Futuro. Stavolta attraverso la reunion tra i suoi Tom Hanks e Robin Wright (ai tempi di Forrest Gump pure Penn) prima ringiovaniti in CGI e poi invecchiati con il trucco non ci racconta linearmente la storia di una famiglia, bensì il punto di vista di una casa che ha visto dentro di sé diverse famiglie in altrettante epoche. A partire dalla preistoria sempre la stessa inquadratura. Da una tribù precolombiana ai Padri Fondatori che costruirono città, il film vive di un totale sul soggiorno. In stile sit-com, però nulla di comico, anzi, vi commuoverete come con This is us. Si parla di adolescenze, amori, lutti, nascite, separazioni, litigi e abbracci che ogni casa, ogni muro vede per decenni.

Zemeckis ci racconta queste storie di tipiche famiglie americane non rinunciando alle sue stoccate contro il pregiudizio razziale della controversa società Usa. Utilizza un magnifico montaggio che combina i vari angoli della grande sala nelle sue varie epoche, opera di Jesse Goldsmith. Sarà sicuramente notato dall’Academy Awards per le sue scenografie e per questo avvolgente stile nel mescolare immagini, storie e tempi. #PEACE

L'articolo Nosferatu, Maria e Better Man: il 2025 al cinema si apre con tre blockbuster e un’anteprima proviene da Il Fatto Quotidiano.




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