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Povertà educativa, a rischio il progetto per gli orfani di femminicidio: “Non servono i decreti Caivano. Il governo riattivi il Fondo”

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“Un bambino era a casa dei nonni mentre il padre uccideva la madre. Si vide arrivare l’uomo con le mani insanguinate, ma gli fu raccontato di un incidente. Così come di incidente – gli dissero – sarebbe morta la mamma. Qualche tempo dopo, fu accompagnato da un’assistente sociale in carcere: gli spiegarono che quello era il posto di lavoro del papà. Il bambino cominciò a essere incontenibile, a dare problemi a scuola. Quando lo prendemmo in carico noi, un anno e mezzo dopo, ci spiegò che aveva sempre saputo cos’era successo, ma che aveva dovuto reggere le bugie degli adulti”. I racconti di Fedele Salvatore sono da far accapponare la pelle. È il responsabile del progetto R.e.s.p.i.r.o. (Area Sud e Isole) per gli orfani di femminicidio. Un progetto che, finora, è stato finanziato grazie al Fondo per il Contrasto della povertà educativa minorile, che adesso il governo ha deciso di azzerare. “R.e.s.p.i.r.o. è l’acronimo di Rete di sostegno per percorsi di inclusione e resilienza con gli Orfani speciali. Cioè non solo orfani di madri ammazzate, ma anche di padri che si suicidano o finiscono in carcere. Nonostante Codice rosso, panchine rosse, giornata del 25 novembre, nonostante l’enfasi su alcuni femminicidi, è un mondo di cui ci si occupa ancora molto poco”.

Salvatore, lei è presidente della cooperativa sociale Irene ’95 di Marigliano e responsabile del progetto. Ci racconta cos’è R.e.s.p.i.r.o.?
Ci occupiamo degli under 21. Negli ultimi tre anni abbiamo preso in carico 300 orfani, e parliamo solo di Sud Italia e isole. Abbiamo dovuto ricostruire caso per caso, perché non esiste un’anagrafe: i dati sono spezzettati tra Procure, Tribunali per i Minorenni, servizi sociali. Di questi 300 individuati – parliamo anche di orfani storici: coloro la cui madre è stata uccisa prima di questi tre anni –, ne seguiamo circa 110 grazie alle nostre equipe. Lavoriamo con 10 organizzazioni del Terzo settore, 10 enti locali e con l’ospedale pediatrico Giovanni XIII di Bari. Cismai, Save the children e Terre des Hommes si dedicano alla supervisione scientifica, alla formazione e alla comunicazione. Noi sul territorio facciamo la “presa in carico”.

Che, detta così, sembra una cosa formale.
Di formale c’è solo il Protocollo d’intesa che abbiamo siglato con l’Arma dei Carabinieri, le Procure e i Tribunali, affinché possano chiamarci subito nel caso di un femminicidio. Perché questo è il punto: anche nell’immediato devono intervenire competenze specifiche. Ma spesso gli enti locali non sanno del protocollo e chi si occupa in prima battuta dei bambini non sa come farlo. Per esempio, spesso i servizi sociali affidano gli orfani ai nonni, che però sono traumatizzati pure loro e non hanno idea di come affrontare, e far affrontare il lutto.

E qui veniamo al concreto.
Accade spesso che, in prima battuta, ai minori vengano raccontate bugie, che a lungo andare rischiano di provocare una dissociazione psicologica. Invece è meglio una verità detta con le parole giuste che un’impietosa bugia. Le nostre equipe sono preparate, formate per la “fase dell’emergenza”, sanno come rivolgersi ai bambini e alle famiglie, che vanno seguite in un lungo percorso. Non mi riferisco soltanto alle incombenze pratiche ma anche, per esempio, a come curare l’aspetto “rito funebre” con gli orfani. Entrano in gioco più figure, anche quella che abbiamo chiamato “tutor di resilienza”, in genere un educatore che abita vicino alla famiglia e che mantiene, nel tempo, la relazione col bambino. Le faccio un esempio: un’orfana, oggi adolescente, vive con i nonni 75enni i quali non sanno come comportarsi con le richieste di uscite serali, con la gestione di social. In molti casi i nonni si ritrovano, da anziani, a fare di nuovo i genitori, ed è faticoso. E poi c’è un altro tipo di supporto.

Quale?
Ci sono le “doti educative”, ovvero quote economiche per la formazione scolastica, le attività sportive, i viaggi d’istruzione. Poi c’è l’assistenza legale: non tutti sanno che la Legge 4 del 2018 garantisce un risarcimento una tantum pari a 50-60mila euro, oppure che la famiglia affidataria ha diritto a un contributo di 300 euro al mese per orfano. Noi li aiutiamo anche nelle pratiche burocratiche.

Non sono cose che può fare direttamente lo Stato?
Lo Stato ha orari d’ufficio. Lo Stato, a differenza nostra, non porta un orfano con disturbo psichico sulla tomba delle madre. In questi casi, e in base all’articolo 118 della Costituzione, lo Stato siamo noi. Ma mi faccia dire un’ultima cosa.

Prego.
Parlano di zone rosse per la sicurezza, noi creiamo zone di serenità. Non abbiamo bisogno di decreti Caivano, la sicurezza non si costruisce con la paura.

L'articolo Povertà educativa, a rischio il progetto per gli orfani di femminicidio: “Non servono i decreti Caivano. Il governo riattivi il Fondo” proviene da Il Fatto Quotidiano.




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