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Accordo Israele-Hamas, tutti contenti? No. Ecco chi rema contro e chi sta davvero festeggiando

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Il negoziato tra Israele e Hamas per il rilascio degli ostaggi e un cessate il fuoco di sei settimane sta scuotendo gli animi. Una partita che intreccia interessi nazionali e personali, divergenze ideologiche e strategie di lungo periodo. Ma chi appoggia davvero l’accordo e chi, al contrario, ne ostacola il cammino? E soprattutto, quali sono le implicazioni per il blocco occidentale e le prossime mosse dell’asse Russia, Cina e Iran?

Gli Stati Uniti e il protagonismo della transizione Biden-Trump

Alla Casa Bianca, il cessate il fuoco è stato presentato come una vittoria diplomatica ancor prima che fosse ufficializzato. Joe Biden, nel suo discorso di ieri sera, ha rivendicato il ruolo decisivo dell’amministrazione uscente nel facilitare l’intesa. «Siamo arrivati a questo punto grazie alla pressione che Israele ha esercitato su Hamas, con il sostegno degli Stati Uniti», ha detto il presidente uscente. Sleepy Joe, si è poi vantato di aver «dato forma alla risposta forte e calibrata di Israele per distruggere le difese aeree iraniane, che ha evitato una guerra totale». All’epoca Biden aveva pubblicamente ammonito lo Stato ebraico a non colpire i siti nucleari o petroliferi iraniani.

Questo protagonismo non sembra essere piaciuto a Donald Trump. Così, forte della sua elezione e del lavoro del suo inviato speciale Steve Witkoff, imprenditore noto per le sue capacità negoziali, ha deciso di issare la bandiera sul suo successo e non quello dell’amministrazione uscente. Witkoff, recatosi a Gerusalemme e Doha, ha esercitato pressioni dirette su Benjamin Netanyahu, convincendolo ad accettare termini che per mesi aveva rifiutato. Secondo fonti interne sembra che i team americani si siano mossi parallelamente ma non è chiaro se fosse una mossa strategica oppure naturale antipatia. Lo stesso Bibi ha ringraziato Trump e Biden lo stesso giorno, ma separatamente.

Divisioni e tensioni interne in Israele: c’è chi dice “è una resa”

In Israele, il dibattito sull’accordo è feroce. Il primo ministro è stato costretto a difendere la scelta di negoziare con Hamas, affermando che «l’obiettivo principale resta la sicurezza e il ritorno dei nostri cittadini». Tuttavia, la sua coalizione è spaccata: il partito Religious Zionism, con il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, ha definito l’accordo una «resa » al terrorismo.

Le proteste fuori dalla Knesset celano inoltre il sentimento di rabbia e dolore delle famiglie, quelle che non rivedranno i loro cari. Lo scambio prevede che solo 33 dei 98 ostaggi ancora nelle mani di Hamas possano tornare a casa, al prezzo di 1000 palestinesi inclusi terroristi. Dunque i familiari non possono che vedere l’intesa come una sconfitta, temendo che la liberazione di prigionieri palestinesi possa rafforzare ulteriormente Hamas. Tuttavia, i sostenitori dell’accordo, tra cui il capo del Mossad David Barnea, ribattono che il rilascio degli ostaggi rappresenta una priorità umanitaria.

Gli interessi geopolitici: Usa, Cina, Russia ed Europa

Non bisogna dimenticare che il Medio Oriente è il crocevia di interessi globali. Se da un lato gli americani vogliono mantenere la loro supremazia, offrendo garanzie a Israele e un sostegno logistico ai mediatori. La Cina, invece, osserva con attenzione e cautela, promuovendo una politica di neutralità apparente ma con l’obiettivo di estendere la propria influenza economica nella ricostruzione di Gaza.

La Russia, indebolita dal conflitto in Ucraina, tenta di riaffermare la propria rilevanza come attore diplomico, ma non si espone troppo per via degli interessi economici, militari e strategici con le parti in gioco. L’Europa, anche se divisa internamente, appoggia ufficialmente il cessate il fuoco, ma singoli Paesi, come la Francia e la Germania, pensano già agli impatti di lungo termine, tra cui il rischio di flussi migratori incontrollati.

L’Italia: sostegno del centrodestra e solita ipocrisia della sinistra

Il governo italiano ha espresso pieno appoggio all’accordo e al cessate il fuoco, ribadendo il sostegno a Israele come partner strategico. «Una notizia importantissima», diceva il ministro degli Esteri Antonio Tajani alla notizia di un’intesa sugli ostaggi. Eppure, c’è chi riesce a strumentalizzare anche faccende delicate come questa: dai banchi dell’opposizione non si perde dunque occasione per attaccare il governo. Su cosa? Non lo sanno neanche loro. «Spiace comunque che il governo italiano non abbia giocato un ruolo da protagonista», dice Maria Elena Boschi, fedelissima di Renzi, che forse non si è accorta che il ministro degli Esteri israeliano era proprio a Roma ieri per discutere con membri del governo. Dal Partito democratico, Elly Schlein tace, e non è necessario commentare.

Israele-Hamas: una “tregua” apparente

Mentre il cessate il fuoco potrebbe essere approvato ad ore, le sfide restano immense. Israele non ha rinunciato a mantenere un contingente di controllo lungo il Corridoio di Filadelfia, e Hamas, nonostante le gravi perdite, conserva la capacità di negoziare. Intanto, la popolazione di Gaza è ridotta alla disperazione, con 46.707 morti dall’inizio del conflitto, secondo le autorità palestinesi.

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