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Btp, asta record ma c’è poco da brindare: non è un buon segno se arriva la finanza internazionale

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La finanza internazionale non finisce mai di sorprendere. L’ultimo episodio è stato il brillantissimo esito per il governo italiano della recente asta di titoli del debito pubblico. A fronte di una collocazione di 18 miliardi tra Btp tradizionali e Btp verdi, c’è stata una domanda record di 275 miliardi, buona da parte derivata dalla finanza internazionale.

Come mai tanto interesse per un Paese straindebitato e quindi almeno teoricamente ad alto rischio come l’Italia? Un tentativo di risposta è stato offerto dal prof. Giovanni Tria, già ministro, sulle pagine del quotidiano di Confindustria, lodando la prudenza del governo Meloni pur in una prosa involuta e a volte veramente barocca, quasi un porto delle nebbie. C’è comunque un’anomalia: il debito pubblico italiano dovrebbe far paura ai mercati internazionali che invece ne sono attratti. Qui il mistero è fitto. Probabilmente non si tratta di una ritrovata lodevole prudenza ma di qualcosa di differente.

Innanzitutto mi sarei aspettato dal governo una grande soddisfazione per l’ottimo risultato raggiunto. Invece la notizia è passata molto sottotono. La ragione forse dipende dal fatto che i titoli sono stati comprati al 70 % da investitori esteri. Siamo ben lontani da quel sovranismo fiscale tanto invocato dalla destra. Anzi, se Meloni fosse stata all’opposizione avrebbe sicuramente urlato da par suo che il governo stava svendendo l’Italia alla plutocrazia internazionale. Siccome è al governo e pecunia non olet, vanno bene i capitali internazionali, persino quelli dell’Arabia Saudita. Capitali internazionali che arrivano quando c’è qualcosa da portare a casa ma poi se si mette male scappano velocemente. Ne ha sperimento l’effetto Berlusconi nel 2011 che da questi è stato disarcionato e di fatto costretto alle dimissioni.

Cosa ha attirato la finanza internazionale verso i lidi nostrani? Probabilmente due fattori. Uno di superficie, e cioè il discreto rendimento. I bond green sono stati piazzati al tasso del 4%, rendimento generoso ma penalizzante per le casse pubbliche per il futuro. Si è trattato quindi per i fondi esteri di una normale diversificazione. C’è molta liquidità in giro, segno che il capitalismo finanziario è in buona salute.

Andando più in profondità, gli investitori internazionali hanno capito che la politica economica della Meloni è una politica che ha virato decisamente verso l’austerity, cioè la riduzione indiscriminata della spesa pubblica con i tagli lineari. La grande finanza estera apprezza molto governi conservatori che tagliano la spesa dello stato sociale come ha fatto la sig.ra Meloni. I tagli si sono abbattuti sulla sanità con un modestissimo incremento che non copre minimamente l’inflazione. Poi sulle pensioni che sono state tosate. Di seguito è toccato al pubblico impiego a cui il governo ha scippato il 10% del salario non adeguandolo all’inflazione. Infine c’è da considerare la spending review diretta con i tagli ai finanziamenti agli Enti locali. Questi tagli dolorosi poi dovranno ripetersi anche l’anno prossimo visto che vanno a finanziare i bonus fiscali che anche la Meloni ha voluto introdurre, ma che possono essere revocati in ogni momento.

Quindi non si è si tratta tanto della prudenza fiscale evocata dal prof. Tria, ma piuttosto di un disegno, nemmeno tanto mascherato, di colpire i cittadini e i servizi dello stato sociale. Se poi aggiungiamo che anche il nuovo fiscal compact impone dei vincoli alla spesa pubblica, il quadro è completo. La destra di governo sta facendo delle cose molto gradite alla finanza internazionale che per ora ha generosamente contraccambiato comprando il nostro debito.

In particolare poi mi ha sorpreso la forte domanda di Bond verdi. Qui siamo di fronte ad una vera e propria azione di greenwashing, cioè di una politica ambientale solo di facciata. È difficile negare che il governo della Meloni sia il più disinteressato e persino ostile alla trasformazione ecologica dell’economia. Infatti ha tagliato la discreta somma di 4,5 miliardi destinata a questo scopo. I bond sono green solo di facciata non solo per il governo italiano ma anche per i fondi internazionali che comprandoli possono dire di aver rispettato i criteri di sostenibilità ambientale. Chi mai andrà a verificare se il governo userà questi soldi per politiche ambientali sostenibili oppure invece per i soliti bonus elettorali? Credo nessuno.

Intanto, sempre per smentire con i fatti la cosiddetta prudenza evocata anche dal ministro Giorgetti, a novembre il debito pubblico italiano ha sfondato la barriera, non solo psicologica, dei 3.000 miliardi. Forse sarà per questo secondo record maligno che il primo, quello dei multipli di 15 volte della domanda di titoli rispetto all’offerta, è passato inosservato. Anche qui una rondine, il successo di poche settimane fa, non fa primavera. Continuando nella metafora è più probabile che invece delle rondini siano arrivati gli avvoltoi della finanza internazionale per spolpare fino in fondo la carcassa della finanza pubblica, ridotta così malamente (cioè con l’esplosione del debito) a colpi di bonus, condoni e generose flat tax, da destra come da sinistra.

Il fatto è che ancora nel 2025 il governo Meloni dovrà trovare tra 100 e 110 miliardi per colmare il nuovo debito che senza i reinvestimenti dei programmi di acquisto della BCE salirà a circa 170. Con l’inflazione in calo e la crescita quasi ferma, toccherà ancora all’odiata Bce salvare la poltrona di Giorgetti? Le acque della finanza pubblica, se lasciamo da perdere il menzognero ottimismo governativo, sono sotto una finta calma più agitate che mai, finanziariamente ma anche socialmente. L’arrivo alla grande della finanza internazionale non è un buon segnale a differenza di quello che può sembrare. Per questo il governo non ha brindato.

L'articolo Btp, asta record ma c’è poco da brindare: non è un buon segno se arriva la finanza internazionale proviene da Il Fatto Quotidiano.




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