La visita di Netanyahu sarà un banco di prova per la tenuta dei sistemi giuridici occidentali
Il procuratore della Corte dell’Aja è stato molto chiaro: l’Icc ha piena giurisdizione sui massacri di civili a Gaza da parte dell’esercito israeliano e sui crimini commessi da Hamas. Questo perché la Corte è un tribunale di ultima istanza, che si attiva solo quando gli strumenti giuridici nazionali sono stati esauriti, e l’inerzia israeliana rende necessario l’intervento dell’Aja. Il discorso di Karim Khan è significativo perché rappresenta uno dei rari e autorevoli atti d’accusa contro l’establishment israeliano, andando oltre il governo. Khan non si limita a criticare l’esecutivo di estrema destra in carica, ma punta il dito contro procuratori e giudici, evidenziando come proprio l’elevato standard giuridico in Israele abbia contribuito alla sua reputazione di “unica democrazia del Medio Oriente”.
Israele, infatti, non è considerata una democrazia funzionante solo per il suo sistema elettorale, ma anche grazie a un apparato giudiziario, in particolare la Corte Suprema, spesso lodato a livello internazionale per imparzialità e indipendenza. Tuttavia, l’inerzia dimostrata nell’ultimo anno e mezzo di fronte ai crimini compiuti nei Territori Occupati e a Gaza mette in discussione questa reputazione. Nonostante disponga di strumenti avanzati per condurre indagini, il sistema giudiziario israeliano è rimasto, sostanzialmente, a guardare. Per questo motivo, l’Icc è intervenuta a seguito delle denunce dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) e delle Ong che difendono i diritti dei palestinesi. Israele, infatti, nega di aver commesso crimini contro l’umanità e, nel migliore dei casi, le denunce presentate alle sue istituzioni sono state ignorate.
Karim Khan ha evidenziato questi aspetti in un momento non casuale, rivolgendosi soprattutto ad alcuni governi europei che minacciano di sottrarsi agli obblighi previsti dallo Statuto della Corte dell’Aja. Tra questi, l’esecutivo italiano, che ha fatto sapere, tramite il ministro degli Esteri Tajani, che l’Italia non darà seguito ai suoi obblighi e che Netanyahu non sarà arrestato nel caso di una sua visita ufficiale.
Lo staff legale del governo italiano avrebbe già concluso che il mandato di cattura è infondato e inapplicabile. Pertanto, l’articolo 27 dello Statuto di Roma, che ha istituito la Corte dell’Aja e al quale l’Italia ha scelto di aderire, viene considerato non vincolante, nonostante imponga agli Stati di dare priorità alle richieste di arresto, anche a scapito delle immunità di capi di Stato e di governo.
L’intervista di Khan risponde a provocazioni come quella di Tajani o del governo polacco nei giorni scorsi. In Italia esiste uno stato di diritto – almeno in teoria – e, in presenza di separazione dei poteri, il governo non può decidere su questioni che non rientrano nelle sue competenze. Se da un lato è improbabile che Netanyahu venga arrestato in Italia, qualora mettesse piede sul suolo italiano, sarebbe altrettanto improbabile ignorare un ordine esecutivo di arresto emesso da un giudice italiano. Una situazione paradossale: la polizia di Stato dovrebbe garantire la sicurezza di un capo di governo, mentre un magistrato si presenterebbe con la polizia giudiziaria per arrestarlo.
Il governo Meloni non è ora, né sarà in futuro, in grado di gestire le conseguenze di un conflitto di poteri di tale portata. Di conseguenza, è ragionevole ritenere che la visita stessa di Netanyahu venga evitata a monte. La questione dei processi per i crimini nei territori palestinesi si profila sempre più come un banco di prova per la tenuta dei sistemi giuridici occidentali: da un lato ci sono i fautori di un “diritto internazionale à la carte”, in cui le regole si applicano solo ai nemici o agli oppositori; dall’altro, chi difende i diritti umani come principio universale. Spetta a noi decidere in chi ci riconosciamo di più.
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