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Davanti alla scuola di Valditara serve un’altra idea di educazione, fondata sulla pedagogia della pace

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Dopo le linee guida per l’educazione civica, fondate su impresa patria e nazionalismo, il ministro Valditara ha messo al lavoro una Commissione per ideare Nuove indicazioni nazionali per la scuola, delle quali ha fornito anticipazioni sull’orientamento culturale e sui componenti incaricati di elaborarle. Sul piano degli indirizzi ne emerge una scuola come “veicolo di mentalità reazionaria già dalla primaria”, sintetizza lo storico Giovanni Carosotti (il manifesto, 16 gennaio 2025). Per quanto riguarda la composizione, insieme alla pedagogista Loredana Perla, è presieduta da quell’Ernesto Galli della Loggia che sciorina da anni sul Corriere della sera elogi della guerra in tutte le sue accezioni, perché, per esempio, “la guerra mette in gioco tratti ancestrali dell’identità umana cui è difficile negare un valore elementare ma pur sempre cruciale: il coraggio, il sentimento di solidarietà con chi sta al nostro fianco, l’abnegazione” (23 novembre 2023). Siamo alla declinazione pedagogica del bellicismo.

Ma poiché il ministro ha dichiarato che avvierà “un ampio confronto” sulle Indicazioni, lo prendo in parola e mi metto avanti proponendo un altro orientamento culturale per la scuola, all’altezza del varco attuale della storia che vede conflitti armati ad ogni latitudine, fondato sulla pedagogia della pace, per contrastare il passaggio alla “mentalità di guerra” (Mark Rutte) e promuovere il paradigma della nonviolenza, aperto al mondo e capace di costruire futuri e convivenze. Eccone alcuni minimi cenni di educazioni essenziali.

Educare alla complessità: ci troviamo immersi in una crisi sistemica globale generatrice di conflitti, rispetto alla quale – invece di rimuovere le cause strutturali – si mettono in campo risposte militari per gestirne gli effetti, senza consapevolezza delle conseguenze nell’età atomica. “Un’intelligenza incapace di considerare il contesto e il complesso planetario rende ciechi, incoscienti e irresponsabili”, ammoniva Edgar Morin ne La testa ben fatta. Educare al pensiero critico, recuperare l’idea del cambiamento possibile, anche rivoluzionario, che ha attraversato generazioni e che negli ultimi decenni ha lasciato il posto all’obbligo di lasciare le cose come sono, a cominciare dalla presunta ineluttabilità della guerra. “Poiché le guerre iniziano nella mente degli esseri umani, è nella mente degli esseri umani che devono essere costruite le difese della pace”, dice la Carta dell’Unesco.

Educare alla responsabilità: si tratta di formare al rispetto della legge finché essa è giusta ma anche all’obiezione di coscienza e alla disobbedienza civile se è sbagliata, per prepararne una migliore. È il principio di Antigone – criminalizzato dal ddl “sicurezza” – che don Milani ha ricordato ai giudici che lo accusavano di apologia di reato per aver difeso gli obiettori di coscienza in carcere: “l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni”. Educare all’empowerment: ribaltare il principio e la pratica del potere da sostantivo singolare maschile, “il Potere” che genera rapporti di dominio, ad esercizio collettivo di declinazione del verbo “potere”, che deriva dal latino possere: essere in grado. Omnicrazia, “il potere di tutti”, lo chiamava Aldo Capitini, ossia apertura progressiva della democrazia, anche come compito primario dell’educazione civica.

Educare a considerare e trattare l’altro sempre come fine e mai come mezzo è il principio fondamentale dell’etica kantiana che implica il rispetto incondizionato per l’altro e la sua dignità, indipendentemente da provenienza, religione, colore della pelle, orientamento sessuale e qualsiasi ulteriore specificazione. Si tratta di riconoscere a tutti, come singoli e come popoli, l’uguale “dignità di lutto” (Judith Butler) e dunque uguale diritto alla vita. Educare all’umanizzazione del “nemico”: “Poiché per fare la guerra ci vuole un nemico con cui guerreggiare, la ineluttabilità della guerra corrisponde alla ineluttabilità dell’individuazione e della costruzione del nemico” (Umberto Eco, Costruire il nemico). Quindi occorre decostruire le rappresentazioni dell’altro indicato, di volta in volta, come “nemico” e promuoverne la sua umanizzazione.

Educare al disarmo, a partire dal disarmo culturale, non significa impoverimento ma arricchimento, perché consente di superare l’egocentrismo, il nazionalismo, l’antropocentrismo, le chiusure identitarie, formando all’esercizio di guardare se stessi dal punto di vista degli altri. In una parola, educare all’empatia. Infine, educare alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, perché il conflitto in sé non deve spaventare ma essere accolto, in quanto elemento fisiologico nelle relazioni, e trasformato nonviolentemente in occasione di incontro creativo delle differenze, dal piano interpersonale a quello internazionale. Si tratta di un apprendimento fondamentale nel tempo della complessità e della crisi sistemica che moltiplica i conflitti e ne alimenta la degenerazione violenta. Insomma, un’altra idea di educazione.

L'articolo Davanti alla scuola di Valditara serve un’altra idea di educazione, fondata sulla pedagogia della pace proviene da Il Fatto Quotidiano.




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