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“Le mani della ‘ndrangheta nell’industria dolciaria della Romagna”: 98 anni di condanna per 21 imputati. Anche un ex candidato di Lupi

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Dopo alcuni giorni di Camera di Consiglio, i giudici del tribunale di Ravenna (Calandra, Coiro, Lipovscek) hanno pronunciato la sentenza di primo grado del processo “Radici”, confermando l’impianto accusatorio sostenuto dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna (pm Giacomo Forte) e condannando 21 dei 24 imputati a pene complessive per 98 anni di carcere.

Alla sbarra i membri di una organizzazione criminale, attiva in buona parte dell’Emilia-Romagna, che calpestava i diritti dei lavoratori, facendosi forte di violenze e intimidazioni tipiche del metodo mafioso, dopo aver messo le mani su aziende del territorio grazie a false fatturazioni, fallimenti pilotati, estorsioni e riciclaggio. Il procedimento è nato da una indagine di Polizia e Guardia di Finanza che tra il 2018 e il 2022 ha scoperchiato gli investimenti illeciti nell’industria alberghiera e dolciaria di una potente organizzazione legata alle famiglie di ‘ndrangheta dei Mancuso e dei Piromalli, trapiantate al nord.

Tra gli uomini al comando c’era Saverio Serra (13 anni e 3 mesi di condanna) originario di Vibo Valentia e residente a Cervia, ritenuto dalla Dda affiliato alla cosca Mancuso. Dice a un tecnico che non vuole aggiustare un macchinario perché vanta crediti non pagati: “Tu sei un porco, hai capito? Se tu domani non vieni e mi sistemi la macchina, vengo e ti mangio il cuore: te lo mangio!” E a Campogalliano, nel ramo delle indagini che va a processo a Modena, se la prende assieme al figlio Leoluca (4 anni di reclusione) con i proprietari di un immobile che chiedono la restituzione perché non pagato: “Vengo e ti taglio la testa e giro per Campogalliano con la tua testa. E ti giuro che questa casa se non me la prendo io non la prende nessuno!” .

Assieme a lui guidano l’associazione Rocco Patamia (10 anni e 6 mesi) e il figlio Francesco (11 anni e 2 mesi). Entrambi legati alla ‘ndrina dei Piromalli di Gioia Tauro, portavano avanti le loro attività illecite al nord, nel campo dell’industria dolciaria, intimidendo le vittime con frasi esplicite tipo: “Ti ammazzo come il porco” o “Piuttosto che ridarti indietro l’azienda la brucio con la benzina”. Francesco viveva a Milano ed era consulente di imprese europee e multinazionali, ma anche candidato alla Camera nelle ultime elezioni politiche del 2022 con Noi moderati di Maurizio Lupi nel collegio di Piacenza. Da presidente del Partito degli Europei e Moderati, poche ore prima del voto, aveva mandato un messaggio video su facebook nel quale esprimeva un auspicio: “Io ci tengo particolarmente che domenica sera o lunedì mattina il risultato sia: festeggiare la vittoria del centrodestra”. L’hanno arrestato poco dopo dettagliando i suoi precedenti di Polizia: tentato omicidio, lesioni personali e minaccia, falsità ideologica, appropriazione indebita, truffa, favoreggiamento, frode in commercio, esercizio abusivo dell’attività di gioco e calunnia.

L’organizzazione condannata a Ravenna consumava, in particolare nei laboratori di pasticceria della Romagna, anche le più odiose vessazioni dei dipendenti: costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno senza pause, ferie, riposi settimanali, con stipendi miseri, offesi e sbeffeggiati. Due dipendenti donne sono state oggetto di continue e gravi umiliazioni a sfondo sessuale. Le hanno sequestrato i telefoni cellulari per controllare i messaggi personali. Una di queste, disperata, si licenzia sebbene non abbia alternative di lavoro.

Le testimonianze al processo delle sindacaliste della Camera del Lavoro di Forlì/Cesena che hanno raccolto le prime denunce e consentito l’avvio delle indagini svelano altri dettagli drammatici: un lavoratore “veniva aggredito quotidianamente, davanti anche ai colleghi e ai clienti… Una ragazza chiusa in uno sgabuzzino perché non aveva concesso di firmare una lettera di risoluzione del contratto di lavoro… ci disse: io ho un bambino piccolo e ho molta paura”. Maria Giorgini, segretaria generale della Camera del Lavoro di Forlì-Cesena, aggiunge: “Con il tessuto delle imprese sane, magari ci bisticci se c’è un errore in una busta paga, ma siamo nell’ambito delle normali relazioni previste dalle norme. Invece…” quando opera la criminalità organizzata “anche quel tessuto lì rischia di non farcela”.

Ha deposto al processo, come parte civile, anche il segretario generale della Cgil Emilia-Romagna Massimo Bussandri, che segnala una amara conclusione: in regione “il 43,6 per cento delle persone che lavorano, dipendenti di aziende private, ha un reddito annuo lordo che non arriva a 20.000 euro, meno di 1.200 euro netti al mese. Noi riteniamo che questa dinamica sia il frutto di tanti anni in cui abbiamo avuto un sovrapporsi di economia illegale a un tessuto produttivo invece storicamente sano, e questo ha determinato un abbassamento delle tutele, dei livelli retributivi, della qualità del lavoro”.

L'articolo “Le mani della ‘ndrangheta nell’industria dolciaria della Romagna”: 98 anni di condanna per 21 imputati. Anche un ex candidato di Lupi proviene da Il Fatto Quotidiano.




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