Strada in salita e dubbi per l’offerta Mps su Mediobanca. Così com’è, agli azionisti di piazzetta Cuccia non conviene
La reazione del mercato all’offerta di Mps su Mediobanca dice che, per la banca senese, la strada si presenta parecchio in salita. Le azioni Monte Paschi hanno perso quasi il 7%, quelle di Mediobanca sono salite di oltre il 7%. Significa che gli analisti vedono per Mps uno sforzo significativo se davvero vuole portare fino in fondo questa operazione, mentre piazzetta Cuccia potrebbe beneficiare . Del resto Mps è una banca che vale in borsa 8 miliardi che sta cercando di comprarsene una che ne vale 13.
Come tutti gli istituti di credito europei, anche Mps ha beneficiato della bonanza dei ricavi garantita dall’aumento del costo del denaro, deciso dalla banca centrale europea negli ultimi anni. Ciò ha consentito all’istituto di uscire dalle secche in cui era bloccata da anni e in cui sarebbe fatalmente sprofondata senza i miliardi pompati dallo stato (ossia dai contribuenti) nei suoi forzieri. Da qui a vedere Mps come una banca d’ora in avanti competitiva, a prescindere dalla variabile tassi, ce ne corre.
I primi 9 mesi del 2024 si sono comunque chiusi con ricavi per 3 miliardi di euro e profitti per 1,5 miliardi. Nello stesso periodo Bper, la banca più prossima a Mps per dimensioni, ha messo a bilancio ricavi per 3,8 miliardi ed utili per 1,1 miliardi. Ma il livello di crediti malati di Mps resta superiore, seppur lontano dagli opprimenti livelli degli anni di crisi.
A favore dell’offerta di Mps gioca però l’azionariato. I primi due soci, dopo il ministero del Tesoro, sono la finanziaria Delfin, della famiglia Del Vecchio (Luxottica), che possiede il 9,8% ed il gruppo Caltagirone, con il 5%. I Del Vecchio e Caltagirone sono anche i principali azionisti di Mediobanca, rispettivamente con il 19,8 e il 7,7%. Gli altri soci di peso di piazzetta Cuccia sono il colosso della finanza statunitense Blackrock (4,2%), Banca Mediolanum (3,5%) ed Unipol (2%). La partecipazione pregiata in mano a Mediobanca è il 13% di Generali. E della compagnia assicurativa di Trieste, i Del Vecchio e Caltagirone hanno il 9,9 e il 6,9%.
Quella in atto è una prova di forza tra poteri economici (e politici con l’offerta ben vista dal governo), dunque le considerazioni prettamente finanziarie ci sono ma non sono l’unica variabile da tenere in considerazione. Nei giorni scorsi l’immobiliarista romano Francesco Gaetano Caltagirone ha scatenato i quotidiani di sua proprietà (Il Mattino di Napoli e Il Messaggero di Roma) in una campagna contro l’operazione che Generali sta imbastendo con i francesi di Natixis. E ha chiamato a raccolta il mondo politico in una sorta di “armata Caltagirone” per bloccare lo straniero.
Mediobanca non è più il centro nevralgico della finanza italiana che era una volta ma non è una banca come tutte le altre. Eppure, se si guarda all’azionariato, è difficile identificare nomi pronti ad opporsi alla scalata dei due azionisti principali. Ma piazzetta Cuccia, da sempre, è quasi una cosa sola con le Generali, dove si concentrano ancora molti interessi, non solo italiani. E ciò facilita la possibilità di contromosse in difesa di Mediobanca che potrebbero far salire vertiginosamente il costo dell’operazione di Mps.
Detto ciò, da un punto di vista prettamente finanziario, le valutazioni degli analisti sull’offerta di Mps non sono lusinghiere. Quelli di Morgan Stanley la giudicano troppo bassa e discutibile da un punto di vista strategico. Anche secondo gli esperti di Equita la banca sense offre troppo poco: “Il premio riconosciuto risulta modesto, considerando anche la probabile riduzione dell’appeal speculativo sul titolo di Banca Mps. Riteniamo difficile identificare sinergie, mentre emerge il rischio di potenziali dissinergie“. “Riteniamo che le possibilità di successo dell’offerta siano basse per più ragioni”, dicono gli analisti di Ig Italia.
Insomma, a queste condizioni, per gli azionisti di Mediobanca c’è ben poco da guadagnare dall’offerta e non si vede perché dovrebbero aderirvi. Il discorso cambia per chi è socio sia della banca senese che di quella milanese. Importanti vantaggi per Mps arriverebbero attraverso le Dta (attività fiscali differite) grazie ad una base imponibile consolidata più ampia. Ciò consentirebbe di accelerarne l’uso con vantaggi stimati in 1,2 miliardi di euro.
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