Quelle vite deragliate con il treno a Caluso: «La mia assistita ha perso la casa, il lavoro e le figlie»
CALUSO. Deragliano anche le vite di chi resta, con i disastri ferroviari. Intere famiglie spezzate. Manuela Amà, operaia, dopo il tragico incidente del 23 maggio 2018 ha perso il lavoro, la casa e quattro figlie, trasferite in comunità. Morena Gauna quella notte era capotreno, suo marito, Oscar Notte, che non era a bordo, faceva il macchinista. Da allora più nessuno dei due è salito su un convoglio. Maria Antonietta Madau, sorella di Roberto il macchinista morto nello schianto, quando parla la sua avvocata Maria Antonietta Nardella, che ricorda come il fratello fosse un punto fermo della sua vita, si commuove.
Nell’aula collegiale del tribunale di Ivrea è il giorno delle parti civili. Alla fine sono stati chiesti risarcimenti per quasi 5 milioni di euro dagli avvocati Cristina Donato, Luca Fiore, Alessandro Aliperta, Andrea De Carlo e Maria Antonietta Madau. Richieste in parte già contestate con una contro perizia dagli avvocato del fondo Uci, che si occupa di risarcire le vittime degli incidenti fatti con veicoli esteri. Durante la discussione l’avvocato Fiore rimarca con decisione: «Non si è mai vista una contro perizia, fatta sulla perizia, senza nemmeno visitare la persona».
A distanza di quasi sette anni tutte le parti civili, comprese Trenitalia e Rfi, hanno avuto soltanto circa 300mila euro, di cui 200mila da un imputato che ha patteggiato, Dangis Dregva della Uab Tlb, e altri 100mila di provvisionali nel processo (arrivato in Corte d’appello, dopo il giudizio abbreviato) agli uomini della scorta Zebedia Mosconi e Gabriele Bottini. Neanche il 10% di quanto richiesto.
Eppure le loro vite sono deragliate. La discussione più toccante è senza dubbio quella dell’avvocata Cristina Donato, che rappresenta la passeggera Manuela Amà. Quel giorno ebbe 60 giorni di prognosi, che furono solo l’anticamera del suo inferno personale.
«Era l’unica fonte di sostentamento della sua famiglia - spiega Donato -, quel giorno ebbe un impatto disastroso sulla sua vita. Perse il lavoro, la casa, quattro delle sue cinque figlie furono messe in comunità. Ha fatto ricorso a cure psichiatriche e ancora oggi ci è stato consigliato di non farla testimoniare per non farle rivivere l’accaduto. A volte ha dei flashback dell’incidente. Dice di sentire ancora il sapore della terra in bocca».
L’avvocato Aliperta, ricorda invece che i suoi assistiti Gauna e Notte hanno avuto «un radicale cambio di vita, dopo l’incidente». E precisa che l’avvocato di Zujus Alfred Gnschitzer ha potuto chiedere il giudizio abbreviato per il suo assistito praticamente a fine processo per via della modifica del capo d’imputazione dell’altro imputato «per avere lo sconto di un terzo della pena e limitare i danni». Gnschitzer ha comunque chiesto l’assoluzione per l’autista del carico eccezionale che quella notte si fermò sui binari causando l’incidente «perché è stato preso dal panico mentre riceveva indicazioni contraddittorie dalla scorta».
L’avvocato Andrea De Carlo, parte civile per Trenitalia e Rfi, si sofferma invece sulla responsabilità dell’altro imputato, Wolfgang Oberhofer: «Quello che fa la differenza è la conoscenza del percorso. è stato dimostrato che Oberhofer sapeva del passaggio a livello, ma non ha riconosciuto il rischio. Non può semplicemente dire: hanno fatto tutto i miei uomini».