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Jannik Sinner, dall’Australia ancor più verso la storia. Il numero 1 nel solco dei grandi

Tre, il numero perfetto. Come gli Slam finora vinti da Jannik Sinner. Il 26 gennaio 2025 diventa il bis del 28 gennaio 2024, il secondo trionfo agli Australian Open della carriera del numero 1 del mondo. Una vittoria per certi versi da libro dei record, perché erano quasi vent’anni (Rafael Nadal 2005-2006) che non si vedeva un primo successo colto nei tornei maggiori bissato nell’anno successivo.

Di tutti i dati della finale, il più impressionante è questo: zero palle break concesse. Come, dal 1991, solo Roger Federer nel suo primo Slam vinto, quello di Wimbledon 2003 contro l’australiano Mark Philippoussis, che fin lì s’era spinto a furia di ace (oltre 200 nel torneo), e che fu letteralmente disinnescato dallo svizzero sul Centre Court. E come solo Nadal agli US Open 2017, i suoi terzi, contro Kevin Anderson, il sudafricano che visse proprio in quel periodo il punto più alto della propria carriera (trovando poi un’altra finale a Wimbledon 2018). Dagli archivi, poi, emerge un match che è stato a volte dimenticato perché “vittima” di una casistica un po’ strana: Pete Sampras non concesse palle break a Boris Becker nella finale di Wimbledon 1995, ma perse il primo set al tie-break prima di vincere i successivi tre.

In ogni caso, il conto della storia è dalla parte di Jannik, che sta mettendo insieme dei numeri impressionanti su tutta la linea. Uno per tutti: è diventato il primo giocatore a mettere insieme 10 vittorie consecutive senza cedere set su giocatori dentro la top 10 da quando esistono i ranking computerizzati, cioè dal 1973. Inoltre, con 22 set vinti in fila proprio contro i primi dieci, ha superato Federer in questa statistica: lo svizzero era fermo a quota 20 (tra 2006 e 2007). E, dopo McEnroe, Lendl, Federer e due volte Djokovic, è il quinto ad aver vinto tre Slam di fila sul duro. Resta da raggiungere Roger, che fece 5 tra US Open 2005 e US Open 2007. Ed è anche il più giovane vincitore di Melbourne consecutivo dai tempi della doppietta 1992-1993 di Jim Courier. Si tratta anche del 12° giocatore a difendere la prima vittoria Slam della vita in Era Open, in una lista che parte da Jan Kodes al Roland Garros 1970 e 1971 e, appunto, finisce con Nadal.

Forse il dato più spaventoso riguarda i set vinti consecutivamente nelle finali Slam. Dopo aver perso i primi due contro Daniil Medvedev, l’anno scorso a Melbourne, non ne ha perso più nessuno: è arrivato a quota 9 in fila tra Australian Open e US Open. Va a far compagnia a Ken Rosewall, Bjorn Borg e Nadal; il migliore in questo senso è stato Sampras, che è arrivato a 11, e sono in quattro a 10. Qualcuno ha anche fatto notare come, da solo, Sinner abbia vinto tre Slam e tutti i giocatori nati negli Anni ’90 ne assommino appena due (Thiem agli US Open 2020 e Medvedev l’anno successivo a New York). Per il resto, nulla. Qualcuno ci è andato vicino (in più occasioni Zverev e Medvedev, lo stesso Thiem, Tsitsipas), qualcuno decisamente meno. La questione depone a favore di Jannik (e anche di Alcaraz), depone meno a favore di un’era tennistica schiacciata quasi a metà tra il triumvirato Federer-Nadal-Djokovic con inserimenti di Murray e Wawrinka e un’attualità che sembra davvero vedere due uomini più lanciati degli altri, e chissà se ci saranno, e quali, altri a poterli insidiare.

Una vittoria, quella di Sinner, che rimarca un concetto molto chiaro: il 2024 al momento è diventato 2025 come se nulla fosse. Quel punto di svolta arrivato tra Pechino, Vienna e ATP Finals 2023, e che lo ha portato fino al numero 1 del mondo a giugno dello scorso anno. Un momento dal quale, peraltro, sulle prime 50 partite da leader mondiale ne ha vinte ben 47. Per trovare un simile rendimento bisogna tornare indietro di quasi cinquant’anni: a Bjorn Borg e a Jimmy Connors, due che più diversi non potevano essere sotto qualsiasi punto di vista possibile e immaginabile. Meglio di Federer (che si fermò a 46) e anche di Agassi (45).

Sono i numeri di un tempo sognato per decenni dal tennis italiano, ma che suona addirittura ai limiti dell’irreale quando si elencano dati, cifre, idee. E che si traduce interamente nell’assoluta capacità di capire, in campo, cosa fare, in ogni momento. Ha dimostrato tante volte questo aspetto: nei primi turni in cui serviva caricare le batterie anche con un sorteggio non facile come quello del cileno Nicolas Jarry, il secondo fuori dalle teste di serie, nell’ottavo con il danese Holger Rune in cui è bastato un punto a girare tutto nel terzo set (e, forse, anche a tranquillizzarlo), nella semifinale con Ben Shelton dove l’americano è finito sotto pressione nel finale di parziale d’apertura e non si è più riavuto. Il fatto è che qui ci si trova a un livello altissimo, fuori da tante immaginazioni. E che sta portando al tennis italiano una fama nazionale mai vissuta.

Va comunque rimarcato che questo non è stato solo lo Slam di Sinner. Perché merito va reso anche a Lorenzo Sonego, autore della miglior performance della sua carriera con bravura. Il termine esatto è proprio questo: i tabelloni diventano sfruttabili, ma bisogna anche riuscire a cogliere l’attimo. Lui l’ha fatto. Stan Wawrinka, pur a quasi quarant’anni, non è mai ostacolo semplice, mentre con il brasiliano Joao Fonseca è stato bravissimo a giocare un tennis più ruvido rispetto a quello proposto da Rublev, con le dovute conseguenze. Non era facile neppure con l’ungherese Fabian Marozsan, che anzi poteva partire favorito, e neppure con un lanciatissimo Learner Tien, l’altro giovane rampante del quale inevitabilmente si osserveranno i progressi futuri. E se l’è giocata bene con Shelton, giocando i suoi primi quarti Slam col piglio giusto.

E non si può nemmeno dimenticare come di vittorie Slam l’Italia avrebbe potuto assommarne due in un sol colpo. Già, perché Simone Bolelli e Andrea Vavassori sono arrivati a due punti dalla vittoria contro Harri Heliovaara e Henry Patten. Il tempo per farcela c’è ancora, la coppia ha chiaramente le sue chance di farcela: terra ed erba i prossimi obiettivi di un duo che, dopo tre finali Slam perse, una gioia in questo senso se la vorrebbe regalare nel prossimo futuro. Intanto ha già fatto capire chiaramente di essere ancora nelle piene possibilità di farlo.

Il capitolo del tennis italiano è complessivamente positivo proprio per questi motivi, e forse senza alcune di situazioni sfortunate (Musetti nel match con Shelton, i set point mancati da Berrettini contro Rune, Jasmine Paolini chiaramente rimasta senza forze contro Elina Svitolina) si sarebbe potuto parlare di ancora di più, ancora di meglio. Ma, alla fine dei conti, questa è l’era di uno Stivale che ha trovato un campione come pochissimi. Destinato, si spera, a procurarsi pian piano un posto nel gotha dei massimi sportivi d’Italia, quelli che hanno fatto sognare generazioni.




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