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Il fallimento del Pnrr, l’economista Maestro: “Una visione tecnocratica che va contro le disuguaglianze e la transizione ecologica”

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Era un cambio di passo evidente, perché affrontava gli effetti della crisi economica con grandi investimenti invece che con l’austerità. Serviva a dare una risposta solidale agli effetti della pandemia e, per quanto riguarda l’Italia, una risposta ai suoi problemi cronici: dal tasso di persone sotto la soglia di povertà assoluta, alle donne e giovani esposti a esclusione e disoccupazione, al declino del mezzogiorno, alla vulnerabilità del nostro paese ai cambiamenti climatici, ai rischi di frane e alle alluvioni nel degrado generale dei territori.

Purtroppo, al contrario, con tutta probabilità il Pnrr è destinato a fallire questi obiettivi. Il duro atto di accusa si trova in un saggio di Adriana Maestro, direttrice della Scuola per l’Economia Trasformativa dell’Università per la Pace delle Marche e autrice di Leggere il presente per trasformare l’economia (Gabrielli editore). La ricercatrice sottolinea anzitutto il fatto che “di Pnrr non si parli più, il tema è uscito dal dibattito pubblico a causa di una coltre politica che provoca una concreta difficoltà a reperire i dati rispetto allo stato di attuazione”.

Un’impostazione ideologica sbagliata

Il motivo del probabile fallimento del Pnrr risiede, soprattutto, nell’impostazione solo apparentemente tecnica e neutrale ma invece molto ideologica data dal governo Draghi e poi confermata dai successivi governi. “Le riforme sono improntate ai canoni del neoliberismo e sono finalizzate unicamente ad aumentare la crescita, avendo come indicatore indiscusso il Pil, che dovrebbe crescere di 3,6 punti entro il 2026. Ci sono solo dati quantitativi e si ha più l’impressione di una sommatoria di interventi che di una complessità armonizzata in funzione di un disegno chiaro”, spiega Maestro. Nel secolo della pandemia, delle guerre globali e della crisi climatica irreversibile sarebbe servito invece “un nuovo pensiero critico, per trasformare la società, affrontando le ragioni della pandemia, e non semplicemente per ripartire”.

Ma non è tutto. “Per come è stato concepito”, spiega l’autrice, “nel Pnrr manca ogni partecipazione della società civile nella decisione dei progetti e nella gestione dei tempi”, questo sicuramente anche a causa dell’eccessiva contrazione temporale. Se a questo si aggiunge la miopia nel finanziare strutture senza assicurare la copertura per il personale necessario stabilizzato nel tempo (ad es. nella scuola e nella sanità), si capisce perché il più grande degli aiuti dell’Europa ai singoli Paesi rischia di fallire.

Speso finora solo il 30% dei fondi

Il Pnrr italiano prevede riforme normative e investimenti economici con un finanziamento europeo (a prestito o a fondo perduto) di circa 194,4 miliardi, per un totale di 262.431 progetti avviati da realizzare nel periodo 2021-26.

Rispetto agli investimenti, sono state spese finora (al 30 settembre 2024) circa il 30% (57,7 miliardi) delle risorse assegnate all’Italia, ovvero 12,9 miliardi in meno rispetto alla programmazione di spesa prevista per il biennio 2023-24. Open Polis denuncia una scarsa trasparenza dei dati, presentati in maniera non disaggregata ma aggregati a livello di misura rendendo “impossibile valutare lo stato di avanzamento degli oltre 260.000 progetti finanziati dal piano”.

Alle criticità già sottolineate, se ne aggiungono altre, messe nero su bianco da Maestro: il fatto che a gestire la montagna di denaro del Pnrr siano stati apparati politico-amministrativi spesso non preparati. La mancata concertazione sia in Parlamento che con le regioni e le parti sociali rispetto alla gestione dei fondi. Inoltre, dal momento che le amministrazioni, le aziende e le filiere economico-finanziarie più forti e organizzate per partecipare hanno intercettato più fondi, è stato penalizzato proprio chi aveva più bisogno di sostegno.

Per non parlare, poi, degli ostacoli durante la realizzazione: aumento dei prezzi, interruzione delle catene di approvvigionamento e della scarsità dei materiali, squilibrio tra offerta e domanda, investimenti non attrattivi, impreparazione del tessuto produttivo, carenza di manodopera (stimata in 375.000 unità), difficoltà normative e gestionali (come i ritardi nel rilascio di autorizzazioni), inadeguatezza dei sistemi di monitoraggio delle opere.

Tutti i fallimenti sul fronte della transizione

Rispetto poi alla seconda e fondamentale missione, la rivoluzione verde e la transizione ecologica, finanziata con circa 69 miliardi di euro, particolarmente a rischio, secondo la studiosa, è il mancato raggiungimento del traguardo che riguarda misure per la gestione del rischio di alluvione e la riduzione del rischio idrogeologico. Un ulteriore problema, comune d’altronde a vari obiettivi, è che vengono finanziati progetti che giacevano già nei cassetti, senza una pianificazione strategica: ingenti fondi, infatti, sono andati al Superbonus, alle rinnovabili, che più che di soldi hanno bisogno di percorsi autorizzativi più semplici, e a investimenti già programmati. Infine, i progetti finanziati dal Pnrr sono poco ambiziosi rispetto alle materie prime critiche, soprattutto rispetto al loro recupero attraverso i Raee.

Purtroppo non è ancora tutto. Come sollevato fin da subito dalle principali associazioni ambientaliste, le misure del Pnrr falliscono nel centrare due obiettivi fondamentali del Next Generation EU: “Non sono in grado di generare un’inversione nel trend delle emissioni di CO2 del settore trasporti, indispensabile per il raggiungimento dei target climatici 2030 e 2050”. E non sono in grado di innescare l’avvio della trasformazione verde dell’industria automotive italiana”. La mobilità sostenibile è ampiamente sottovalutata, l’accelerazione dell’elettrificazione dei trasporti non è assunta come obiettivo (impossibile raggiungere il target di 6 milioni di veicoli elettrici entro il 2030 come previsto dal Pniec). Infine, l’obiettivo della sicurezza stradale come protezione primaria della vita delle persone fallisce. “In definitiva, afferma Maestro, “la missione del Pnrr lascia l’amaro in bocca.”

Tutto ciò scaturisce, in conclusione, e sempre secondo l’autrice, “da un deficit di visione trasformativa della realtà, misurata con i bisogni e i desideri delle persone che vivono in condizioni di grande diseguaglianza sociale. La buona idea di andare in controtendenza rispetto alle vecchie politiche di austerità, rispondendo alla crisi economica con grandi investimenti per il bene pubblico, si è arenata nella visione tecnocratica dei soli indicatori produttivi di efficienza e di PIL, ignorando del tutto le ricerche, i dati e le analisi – dall’Onu a Papa Francesco – che richiedono con urgenza un’altra idea di economia per preservare un futuro sostenibile per la terra e tutte le specie viventi”.

L'articolo Il fallimento del Pnrr, l’economista Maestro: “Una visione tecnocratica che va contro le disuguaglianze e la transizione ecologica” proviene da Il Fatto Quotidiano.




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