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Giorgia Meloni e lo sketch dei migranti tira e molla. La sceneggiatura c’è già tutta

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E se la Meloni fosse soltanto uno sketch, ossia una scenetta comica inserita in un programma di varietà? Magari nella parte del catastrofico Mister Bean, grazie a numerose somiglianze palesi: dagli occhi sbarrati all’uso compulsivo delle smorfiette buffe. Lo script c’è già tutto: la premier deve liberarsi di una qualche decina di immigrati ingombranti per accontentare i propri fan? Così li imbarca su una nave militare alla volta dell’Albania, per seppellirli nelle due Guantanamo in miniatura a ciò predisposte: i centri migranti, dotati di tutti i più aggiornati confort detentivi, di cui si è dotata sull’altra sponda dell’Adriatico. Detto fatto: finalmente tira un sospiro di sollievo, ma ecco che – all’improvviso – tali croceristi loro malgrado se li vede ricomparire tra i piedi. Una, due, tre volte. Probabilmente gli odiati extracomunitari sono fatti di caucciù, per cui rimbalzano dagli accoglienti siti dai nomi poetici di Shengjin e Gjader, perfette ricostruzioni del Deserto dei tartari caro a Dino Buzzati, fino alla piscina della villona meloniana in quel di Roma Sud, zona Torrino. E hai voglia di comprimerli: quegli impuniti scattano come molle rendendo vieppiù problematico sbarazzarsene.

E intanto le navi della marina militare vanno su e giù attraverso il Mediterraneo come una gag da “mondo alla rovescia” (remake del film Hellzapoppin del 1941, con una pianta di cactus – chiara metafora dell’extracomunitario – che riappare ogni volta più grande) in cui più Meloni imbarca scarti umani e più quelli tornano indietro. Tanto che alla fine, per salvarsi dalla moltiplicazione invasiva, Miss Bean della Garbatella è costretta a trincerarsi lei stessa in uno dei centri migranti albanesi, insieme ai comici di spalla Nordio e Piantedosi, in attesa che la fida sorella Arianna riesca a trovare un solvente in grado di sciogliere la sostanza gommosa della moltitudine di zombi antropofagi in cui gli andirivieni adriatici hanno trasformato le poche decine di innocui trasmigratori. Anche se – in questo caso – il testo comico virerebbe sull’horror.

Tutto perché si è preferito adottare la strategia della deportazione di massa – di chiara ispirazione biblica, dunque straordinariamente scenografica – quando si era già sperimentata l’efficacia di un’altra soluzione, seppure sottotraccia: quella aerotrasportata, come nel caso del truculento generale libico Najem Osama Almasri, reo di crimini contro l’umanità (dalla tortura allo stupro) e inseguito da un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale, riportato sull’altra sponda con un volo di Stato. Operazione andata a buon fine precettando i bodyguard Italo Bocchino e Mario Sechi a divulgare la notizia farlocca che la sicurezza nazionale è tutelata meglio se l’energumeno risulta a piede libero. Ovviamente tesi che va sostenuta dai due noti funamboli senza il minimo rossore. E senza tirare in ballo gli accordi segreti – modello pateracchio – stipulati a suo tempo dal ministro sensale Minniti, pronto a pagare qualsiasi cifra e a tollerare qualsivoglia infamia purché i libici incarcerassero i possibili migranti, per la soddisfazione dell’italico elettorato più forcaiolo. Patto osceno che l’attuale governo ha tranquillamente fatto proprio.

Sicché – come il caso Almasri ha dimostrato – invece delle manovre navali avanti e indrè, è più efficace il rimpatrio ad personam; anche se richiede una flotta sterminata di velivoli e il coinvolgimento dell’intera aereonautica militare, quando Trump ci ha imposto di destinare tutte le nostre risorse alle future vicende belliche che dovremo affrontare sotto le insegne della Nato, su disposizione della Casa Bianca.

E qui il testo comico virato a horror diventa l’incubo della Terza Guerra mondiale. Prospettiva che scalderebbe il cuore mussoliniano della bellicosa seconda carica dello Stato. Che – non di rado – potrebbe essere scambiata anch’essa per una barzelletta. Visto il serrato dibattito svoltosi in Senato sulla liceità per i parlamentari di farsi accompagnare nell’esercizio delle loro funzioni dai propri cani. Questione risolta dall’Ignazio Benito La Russa con l’autorizzazione vincolata al divieto per tali ospiti di svolgere funzioni corporali entro Palazzo Madama. Codicillo che presumibilmente presuppone di attrezzarli con tappi anti deiezioni e apposite capsule.

Tale notizia ha riportato alla mente del vostro blogger una vicenda di tanti anni fa, appresa dal diretto interessato. A quell’epoca Giuliano Ferrara, assunto nella redazione romana del Corriere della Sera, si faceva accompagnare sul posto di lavoro dal suo fedele amico a quattro zampe, che per tutto il tempo rimaneva immobile e silente sotto la scrivania del padrone. Alle proteste dei colleghi, che pretendevano la fine dell’andazzo, l’allora capo redattore Enzo Marzo rispose affiggendo nell’apposita bacheca la risposta aziendale: era “impossibile impedire l’accesso di cani in redazione perché tale notifica avrebbe comportato una severa decimazione nella redazione stessa”. Altri tempi, altro senso del ridicolo.

L'articolo Giorgia Meloni e lo sketch dei migranti tira e molla. La sceneggiatura c’è già tutta proviene da Il Fatto Quotidiano.




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