Meloni, ossia l’arte del comandare tra arroganza e distrazioni di massa
di Claudio Pirola
L’arroganza che la Presidente del Consiglio Meloni sta in modo crescente manifestando umiliando simultaneamente Parlamento (un fastidio…) e Magistratura (un intralcio…) è sintomo evidente di un malessere politico non dichiarato. I dati del resto sono incontrovertibili: produzione industriale in calo da 21 mesi consecutivi, riforme al palo (premierato, autonomia regionale), problema “terzo mandato” per amministratori, caso Santanché (dopo Delmastro, Sgarbi, Sangiuliano), problema trasporti, operazione migranti-Albania (uno sfregio alla Costituzione Italiana), aumento dei suicidi nelle carceri, aumento della povertà individuale, stagnazione del Pil, aumento accise su benzina, sistema sanitario in crescente difficoltà ed altro ancora non contribuiscono a creare un clima di serenità.
E da ultimo, non per importanza, il caso Almasri inadeguatamente gestito da chi aveva il dovere di farlo. “Non sono ricattabile” ostenta Meloni a ogni piè sospinto. Già, ma da chi? Dalla Magistratura che ha fatto quello che molti cittadini hanno ritenuto doveroso facesse in seguito a una denuncia? E perché denigrare la Corte dell’Aia (al riguardo il mellifluo Tajani sembra essere diventato un pasdaran per stare al passo…)? Conte, si ricorderà, a fronte di procedimento analogo diede ben altro esempio. Se Meloni a sua volta ha nulla da temere, perché agitarsi come un ossesso? Il disegno sempre più evidente di voler assoggettare la Magistratura al potere politico rischia di portare alla deriva uno Stato libero e democratico.
L’”aver vinto le elezioni” non è del resto un concetto sufficiente per non ascoltare le opposizioni (“se ne facciano una ragione…”), non confrontarsi coi giornalisti, denigrare singole persone influenti sul piano sociale o autorevoli organizzazioni che osano esprimere opinioni non necessariamente allineate. In assenza di autorevolezza a questo governo non resta che l’autorità, il pugno del comandare anziché l’arte appunto del governare. Il che rischia di portarci chissà dove.
Si potrebbero poi aggiungere altri motivi di riflessione, da una gestione ambientale senza visione (Pichetto Fratin, what?), alla scuola (dai valori inclusivi di don Milani a quelli attuali di Valditara il salto non è breve), alla gestione degli Interni (la provocatoria scorciatoia della repressione voluta da Piantedosi rischia di creare corto circuito), alla Difesa (la statura e gli interessi di Crosetto non sembrano favorire la pace) alla Cultura (Giuli ci fa o ci è?), alla politica agricola (raramente un Ministro fu più imbarazzante di Lollobrigida), fino alla crème de la crème della Giustizia (la sobrietà della gestione Nordio un esempio da seguire?). E non è che con costanti distrazioni di massa si possa continuare a far credere che i problemi non esistono.
E l’opposizione? Nella migliore delle ipotesi avanza idee in ordine sparso e si trova raramente d’accordo su temi importanti in Italia come in Europa, dalla guerra al salva-Milano, dal Jobs act al terzo mandato per amministratori solo per citarne alcuni. Vien da dire che non è un caso se Meloni c’è. E non per suo merito.
Max Weber, morto oltre un secolo fa, scriveva: “La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. E’ perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe mai raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile”. Una riflessione di straordinaria attualità eppure così distante dal modo di pensare ed agire di una classe dirigente e che fa ritornare alla mente una celebre frase di James Freeman Clarke, predicatore e teologo statunitense del XIX secolo “Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese”. Già…
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