“Nel cervello umano c’è un cucchiaino di microplastiche: per il 99,5% è tessuto celebrale, il resto è plastica. Non sappiamo le conseguenze di ciò”: l’allarme nel nuovo studio
Il nostro cervello si sta progressivamente riempiendo di plastica, letteralmente. Uno studio dell’Università del New Mexico, pubblicato sulla rivista Nature Medicine, ha scoperto una tendenza all’aumento della presenza di micro e nanoplastiche nel tessuto cerebrale ricavato da decine di autopsie effettuate tra il 1997 e il 2024. Gli stessi ricercatori, come già successo in lavori precedenti, hanno anche trovato queste minuscole particelle in campioni di fegato e reni. Mentre ci sono chiare evidenze di tracce di microplastiche nel sangue, nello sperma, nel latte materno, nelle placente e nel midollo osseo. In sostanza, il corpo umano è a tutti gli effetti contaminato da microplastiche con effetti sulla salute in gran parte sconosciuti. Alcune ricerche hanno dimostrato un legame con un rischio aumentato di ictus e infarto.
Nel nuovo studio gli scienziati hanno anche scoperto che la concentrazione di microplastiche è circa sei volte più alta nei campioni di cervello di persone affette da demenza. Tuttavia, secondo quanto precisato dai ricercatori, non si dovrebbe supporre alcun nesso causale. E’ infatti possibile che le concentrazioni potrebbero aumentare a seguito dei danni causati dalla demenza. “Data la presenza ambientale in aumento esponenziale di micro e nanoplastiche, questi dati impongono uno sforzo molto più ampio per comprendere se hanno un ruolo nei disturbi neurologici o altri effetti sulla salute umana”, spiegano i ricercatori, guidati da Matthew Campen dell’Università del New Mexico negli Stati Uniti.
“Le concentrazioni che abbiamo riscontrato nel tessuto cerebrale di individui normali, che avevano un’età media di circa 45 o 50 anni, erano di 4.800 microgrammi per grammo, vale a dire lo 0,48% in peso – ha aggiunto Campen – . Rispetto ai campioni delle autopsie del 2016, si tratta del 50% in più, il che potrebbe significare che il nostro cervello oggi è costituito al 99,5% da tessuto celebrale e il resto è plastica”.
Le microplastiche derivano dai rifiuti di plastica e hanno inquinato l’intero pianeta, dalla cima del monte Everest agli oceani più profondi. Le persone entrano in contatto con queste minuscole particelle tramite il cibo, l’acqua o anche solo respirandole. Uno studio pubblicato qualche giorno fa ha scoperto che l’inquinamento da microplastiche è significativamente più elevato nelle placente legate ai parti prematuri. Un’altra ricerca recente ha scoperto che le microplastiche possono bloccare i vasi sanguigni nel cervello dei topi, causando danni neurologici.
Il nuovo studio ha analizzato campioni di tessuti cerebrali, epatici e renali di 28 persone decedute nel 2016 e 24 decedute nel 2024 nel New Mexico. Le concentrazioni di microplastiche sono risultate più elevate nel tessuto cerebrale, così come nei campioni di cervello e fegato del 2024, rispetto a quelli del 2016. Gli scienziati hanno poi esteso l’analisi con campioni di tessuto cerebrale di persone decedute tra il 1997 e il 2013 sulla costa orientale degli Stati Uniti. I dati hanno mostrato un trend crescente nella contaminazione da microplastiche dei cervelli dal 1997 al 2024. La plastica più comune trovata è stata il polietilene, che viene utilizzata nei sacchetti di plastica e negli imballaggi per alimenti e bevande. In media, costituisce il 75% della plastica totale. Le particelle nel cervello erano per lo più frammenti e scaglie di plastica in scala nanometrica.
Le concentrazioni di plastica negli organi non sono risultate influenzate dall’età della persona al momento della morte, né dalla causa della morte, dal sesso o dall’etnia. Gli scienziati hanno osservato che è stato analizzato un solo campione di ogni organo, il che significa che la variabilità all’interno degli organi rimane sconosciuta e che alcune variazioni nei campioni di cervello potrebbero essere dovute a differenze geografiche tra il New Mexico e la costa orientale degli Stati Uniti. “Questi risultati evidenziano la necessità critica di comprendere meglio le vie di esposizione, i percorsi di assorbimento e di eliminazione e le potenziali conseguenze sulla salute della plastica nei tessuti umani, in particolare nel cervello”, concludono i ricercatori.
LINK ALLO STUDIO: https://www.nature.com/articles/s41591-024-03453-1
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