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Rigenerare le città partendo dai più fragili: un’urbanizzazione inclusiva per tutte le generazioni

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di Mario De Finis

Le due grandi e inarrestabili transizioni demografiche contemporanee – invecchiamento della popolazione e urbanizzazione – entro il 2050 faranno rispettivamente raddoppiare di numero gli ultrasessantacinquenni (diventeranno quasi due miliardi- Fonte: World Social Report 2023) e gli ultraottantenni (passando dal 3.4 % del 2001 all’attuale 6 % – Fonte Eurostat). Faranno inoltre vivere il 68% della popolazione in aree urbane (contro il 55% del 2018), con una proporzione di anziani di poco inferiore alle fasce d’età più giovani (Fonte: ONU): si prospettano centri urbani sempre più affollati di cittadini over 65, che pongono il tema centrale di come vivere più a lungo e meglio.

Infatti i fenomeni di gentrificazione e di degrado urbano rendono le nostre città sempre più problematiche, soprattutto per i soggetti più fragili come gli anziani che – a dispetto di un indice di vecchiaia in continua crescita (193,1 anziani ogni 100 giovani con un aumento di 5,5 punti percentuali rispetto al 2022 – Dati Istat al 1° Gennaio 2023) – continuano a convivere con tante difficoltà: dalla sempre più frequente carenza di servizi di prossimità come un negozio di alimentari o di frutta, una farmacia, un ufficio postale; alla drammatica assenza o lontananza di presidi sanitari di cura e assistenza; alle devastanti conseguenze della crisi climatica (piogge intense con allagamenti, fenomeno urbano delle ondate di calore). Solo un dato: a Napolinegli ultimi decenni del secolo ci sono stati 50 giorni in più di caldo intenso rispetto a inizio secolo!  (Fonte: Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici).

In realtà la sfida della ‘Longevity Rush’ richiede una maggiore consapevolezza politica, sociale e amministrativa, con un conseguente ripensamento e trasformazione delle politiche sociali, del contesto urbano, dei luoghi dell’abitare, dei sistemi di relazioni, del mondo del lavoro: in tal senso occorrerà mettere a punto paradigmi sociali totalmente nuovi in materia di welfare, economia, lavoro, organizzazione delle città.

Perché il binomio invecchiamento-urbanizzazione è un tema che in realtà riguarda tutti.

Ad esempio anche il grande tema della solitudine urbana degli anziani e dei fragili – descritto spesso come problema individuale che richiede soluzioni individuali – dovrebbe essere inquadrato all’interno di un contesto socioculturale, economico, politico e ambientale più ampio.

Una recente revisione narrativa interdisciplinare di 57 studi della letteratura scientifica sulla relazione tra ambiente costruito e solitudine – The impact of the built environment on loneliness: a systematic review and narrative synthesis  – ha evidenziato come agire  già in fase di progettazione sugli ambienti urbani costruiti in cui viviamo, può facilitare l’incontro e l’interazione tra le persone, anche di età diverse, prevenendo e contrastando la solitudine.

Distribuzione e progettazione di spazi conviviali; accessibilità, sicurezza e comodità delle stazioni, delle fermate e dei mezzi di trasporto;  personalizzazione delle abitazioni; maggiore comunicazione, informazione, accessibilità in tema di collettività e servizi sanitari; coinvolgimento sociale e culturale della terza e quarta età. Sonotutti fattori che rendono le fasce più anziane della popolazione meno propense a trascorrere molto tempo da sole e viceversa più inclini alle relazioni con gli altri, consentendo e facilitando interazioni sociali pianificate e/o occasionali.

Oggi però la complessità urbana e gli studi in materia richiedono di rimodulare questi interventi, passando dal focus – ormai insufficiente – di progettazione e pianificazione urbana concentrato esclusivamente sulla terza età, al costruire città chepossano favorire una vita urbana sostenibile e longeva, lungo tutto il corso della vita di tutte le persone.

Molte misure di progettazione dell’ambiente fisico urbano che realizzano città a misura di anziano – riduzione dell’ inquinamento atmosferico e delle acque, incremento di spazi verdi, mitigazione del calore dovuto al riscaldamento globale, partecipazione attiva culturale e sociale, accesso facilitato e gratuito ai servizi pubblici, telemedicina ed esperienze di cohousing – le rendono infatti anche più friendly per tutte le altre età e condizioni: i bambini e chi se ne prende cura,  le donne incinte, le persone con disabilità, le famiglie.

C’è insomma bisogno – come sostengono diversi studiosi – di una nuova rigenerazione urbanache, partendo dal rispondere ai bisogni e alle esigenze della popolazione più fragile (come gli anziani) in tema di salute, ambiente, partecipazione sociale, migliori le condizioni di vita nella città rendendola in realtà ospitale ed ecosostenibile per tutti.

Tale rigenerazione aiuterebbe peraltro le nostre società a ridurre dicotomia e divario generazionale tra gli anziani e gli altri, ad evitare compartimentazioni artificiali e segmentazioni generazionali che isolano le persone in gruppi target (come nella Sanità pubblica), mentre in realtà tutti – indipendentemente dalla nostra età – siamo collegati gli uni agli altri.

Non a caso Vincenzo Paglia – presidente della Pontificia Accademia per la vita, e Coordinatore della commissione governativa per le politiche a favore della popolazione anziana in Italia e fautore della Legge 33 indirizzata verso la rottura dell’isolamento degli anziani nella direzione della domiciliarità delle cure e dell’assistenza – nel suo “Il crollo del noi” parla della necessità di ritessere il ‘noi’ del convivere urbano contemporaneo. Afferma: “Ogni persona umana è per sua natura relazionale, nasce come relazione, vive per la relazione…e ha bisogno dell’altro per essere completo: la città umana cresce con lo sguardo che vede l’altro come concittadino…in un dialogo al cui interno si tesse la ricchezza stessa del vivere insieme

La città che si prende cura dei più fragili, che si rende compatibile con le loro esigenze e con i loro diritti (diventando più comoda e facile da vivere), è una città che organizza gli spazi pubblici, gli usi dei luoghi e la mobilità collettiva appunto nel segno della prossimità e delle relazioni, con un abbassamento delle barriere culturali e sociali tra le varie fasce di età.

E si offre come laboratorio per costruire un futuro urbano più connesso, attraverso una preziosa interazione sociale, esperienziale, culturale, professionale tra le generazioni.

Si potrebbe dire a ragione che una città per gli anziani è davvero una città per tutti.

In Italia, la longevità nell’invecchiamento – processo che ci riguarda tutti –  e la rapida urbanizzazione, rappresentano insieme una grande opportunità di innovazione, investimento, ricerca, progresso umano e civile.

Nick Palmarini, direttore del National Innovation Center for Ageing, ha detto in proposito : “L’invecchiamento è la migliore opportunità di innovazione, investimento, ricerca, sviluppo, impresa che l’Italia abbia davanti a sé…anche perché credo sia la piattaforma su cui costruire una interazione sociale, esperienziale, culturale, professionale tra le generazioni”

Tale interazione intergenerazionale sostenibile può essere anche la base per una nuova generatività di persone che, costruendo insieme – come ben evidenziato dal Rapporto sul ben-vivere delle province italiane 2024 – “uno sviluppo integrale, integrato e integrante dei territori urbani”, possono fare la differenza: ad esempio ridando vita, motivazioni e speranza alle periferie, sempre più in condizioni di abbandono ed inerzia.

Se appare un sogno, l’unica cosa che dovremmo fare è avere il coraggio di sognarlo: per tutti i bambini, giovani, adulti e anziani delle nostre città.

L'articolo Rigenerare le città partendo dai più fragili: un’urbanizzazione inclusiva per tutte le generazioni proviene da Globalist.it.




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