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Nell’era dell’Ia bisogna rafforzare il pensiero

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Con il ricorso massiccio all’intelligenza artificiale le nostre capacità cognitive perdono elasticità e si assottiglia anche l’abilità di tenere a memoria ciò che apprendiamo. Del resto, non ci vuole un genio per capire che non si può fare col cervello quello che le aziende fanno attraverso il cosiddetto outsourcing e cioè dando in appalto all’esterno attività che non vogliono siano fatte internamente. Per le società funziona (per la verità, in molti casi, con qualche problema legato a un controllo troppo lontano delle attività stesse). Con il cervello, invece, non funziona. Anzi, come dimostrato da diversi studi, può fare danni non indifferenti soprattutto nelle menti degli adolescenti e dei giovani, e quindi, in prospettiva, agli uomini e alle donne maturi dei prossimi anni, ai cittadini italiani.

Diceva Sant’Agostino che la memoria è «il presente del passato» nella nostra mente e ci aveva colto in pieno perché noi apprendendo, imparando, selezionando con il nostro cervello ci creiamo una sorta di archivio, o se volete di enciclopedia personale, che trattiene ciò che più ci interessa o che più riteniamo utile al nostro lavoro, sia intellettuale che sentimentale che pratico. Se io affido la maggior parte delle attività - mettiamo un tema o una ricerca scolastica commissionata dal professore - all’intelligenza artificiale (e poi furbescamente ci metto qualcosa di mio per mimetizzare l’inganno), in realtà, non ho fatto che ingannare me stesso perché di ciò che ho scritto, anzi che altri hanno scritto e io ho copiato come un ebete, poco rimarrà nella mia mente.

Gli scienziati hanno dato un nome a questo rapporto malato tra l’intelligenza artificiale e la memoria: si chiama «amnesia digitale». L’Università di Oxford ha scelto «brain rot» (letteralmente marciume cerebrale) come parola dell’anno per il 2024 a indicare il troppo tempo speso sui social a fare scrolling senza uno scopo preciso. Strumenti generativi come ChatGpt vengono ormai incorporati nei motori di ricerca e in altri tipi di software e, quindi, diventano un’esperienza quotidiana per moltissime persone. Tanti ricercatori temono, sulla base di studi effettuati, che affidarsi all’intelligenza artificiale possa «impigrire» cognitivamente e addirittura instillare falsi ricordi che potrebbero arrivare a influenzare il modo in cui ripensiamo alla nostra vita.

Quello che è certo, come sostiene Jason Burton del Max Planck Institute for Human Development di Berlino, è che «affidarsi all’intelligenza artificiale per generare risposte, senza riflettere profondamente, potrebbe comportare la perdita di preziose capacità cognitive in particolare tra gli studenti ... quando viene posta loro una domanda generano una scrittura nuova che non è a prova di errore. Ciò li rende una fonte di memoria esterna potenzialmente inaffidabile, con il rischio che le persone possano incorporare informazioni false nei loro ricordi».

Non c’è dubbio che il problema più grande sia costituito dal fatto che questo atteggiamento potrebbe avere un impatto sia sul modo di pensare delle persone (grave) che, soprattutto, sulle loro convinzioni (gravissimo). Il cervello è la cosa più bella che ci ha donato la natura perché ci permette, al contrario degli animali che non sanno di essere animali, di rendersi contodi essere umani. Questo però non è dato a tutti senza sforzo, occorre un impegno affinché tale grande dono porti i suoi frutti.

L’impegno personale significa far lavorare il cervello servendosi di strumenti esterni così come ci si serviva delle enciclopedie e cioè cercando notizie, informazioni, approfondimenti su determinate materie. Se, come detto sopra, l’intelligenza artificiale diventa la nostra enciclopedia, a mio modesto avviso, siamo fottuti. Non solo perché questo priverebbe la persona di tutto quel lavorio mentale che sviluppa la conoscenza e la coscienza stessa, ma anche perché è solo attraverso l’elaborazione personale dei fatti, degli eventi e delle esperienze che l’individuo riesce a costruire un pensiero autonomo che, man mano, può diventare la lente attraverso la quale guardare al mondo, a sé stesso e agli altri, interpretandoli. n

© riproduzione riservata

Si parla di dispositivi che utilizzano l’intelligenza artificiale per aiutarci nel conservare, ricordare e utilizzare dati e infomazioni anche nel servizio di pagina 70.




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