Migranti e criminalità, in Germania l’Istituto conservatore Ifo nega che esista un nesso. Vale anche per l’Italia? I dati del Viminale
Se non decisivo, il tema dei migranti sarà tra quelli determinanti nelle elezioni in Germania. L’estrema destra dell’AfD non ha dubbi sulla relazione tra criminalità e immigrazione, tema rilanciato con insistenza anche dal nuovo presidente americano Donald Trump: “I media corrotti sono indignati perché io continuo a parlare di criminalità dei migranti e dell’epidemia di crimini dei migranti”, si è lamentato pochi giorni prima di essere rieletto. Lunedì scorso, per sottolineare la necessità di aumentare i rimpatri, il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, ha spiegato che, in base ai dati del Viminale, tra gli irregolari ci sarebbe una delittuosità maggiore rispetto agli stranieri regolari o agli italiani. Gli stranieri sono quasi sempre sovra-rappresentati nelle statistiche criminali e nelle carceri rispetto alla loro percentuale sulla popolazione totale. Significa che esiste un nesso tra migranti e maggiore delittuosità? Gli studi sul sembrano dire il contrario, compreso quello appena pubblicato dall’Ifo di Monaco di Baviera, istituto di ricerca liberale e conservatore.
In base ai dati della polizia criminale (PKS) tedesca tra il 2018 e il 2023, l’Istituto spiega che la sovra-rappresentazione è attribuibile a fattori specifici del luogo in cui gli stranieri vivono, come l’alta densità di popolazione, la situazione economica e l’elevato tasso di illegalità, fattori che influenzerebbero il rischio di criminalità indipendentemente dall’origine. Poiché gli stranieri tendono a vivere più spesso in aree ad alta illegalità, si crea una correlazione statistica tra la loro presenza e i tassi di criminalità locali. Secondo l’Ifo, le analisi condotte negano che un aumento della quota di immigrati porti a un aumento della criminalità. Si sottolinea invece l’importanza di considerare i fattori locali e le politiche di integrazione, come i corsi di lingua e l’accesso al mercato del lavoro, che possono ridurre il rischio di criminalità tra i migranti. Al contrario, si avverte, limitazioni nell’accesso a documenti, istruzione e mercato del lavoro per i richiedenti asilo possono avere conseguenze negative a lungo termine sulla loro integrazione economica e sociale. Da ultimo, l’istituto mette in guardia contro le errate percezioni sulla migrazione, spesso alimentate “da una rappresentazione mediatica distorta e da fattori psicologici e socioculturali”, suggerendo di incentivare una maggiore comprensione del ruolo degli immigrati nella società per sviluppare politiche efficaci e promuoverne l’integrazione.
Analisi che, a quanto pare, concordano coi risultati di altre ricerche internazionali sul tema, comprese quelle che riguardano l’Italia e gli Stati Uniti. Uno studio internazionale su 23 paesi europei firmato da Olivier Marie dell’Università di Maastricht e Paolo Pinotti della Bocconi non ha trovato alcun collegamento significativo tra immigrazione e criminalità. “Utilizzando metodi statistici rigorosi, emerge che, anche in aree con un’immigrazione sostanziale, i tassi di criminalità non aumentano. In alcuni casi, addirittura diminuiscono leggermente”, è stato poi riportato. Tra le ragioni per cui si ritiene che l’immigrazione alimenti la criminalità c’è, secondo gli autori, l’influenza dei media e della retorica politica. Secondo le ricerche citate, permessi di lavoro legali e impieghi stabili sono direttamente collegati alla riduzione dei tassi di criminalità. Anche in Italia: “Quando ad alcuni immigrati dell’Europa orientale sono stati concessi permessi di lavoro legali, i loro tassi di criminalità sono scesi di oltre il 50%”, spiegano in un articolo per la Rivista Il Mulino Paolo Pinotti e Daniele Gianmarco dell’Università di Milano.
Tuttavia, la percentuale di stranieri nelle statistiche sulla delinquenza e nelle carceri rilancia la questione. Durante la Conferenza dei prefetti e questori, il ministro Piantedosi ha evidenziato la necessità di incrementare il numero di rimpatri per coloro che non hanno diritto a stare in Italia. Rispetto al 2023, quando erano stati 4.700, il Viminale ha rivendicato un aumento del 14% nel 2024. Rispetto ai soli sbarchi, 67 mila l’anno scorso, e al numero di irregolari che l’ultimo rapporto di Fondazione Ismu stima in 321 mila al primo gennaio 2024, i rimpatri fatti restano poca cosa. Secondo i dati del ministero di Piantedosi, gli stranieri denunciati/arrestati sul territorio nazionale da gennaio a settembre 2024 sono in totale 586 mila. Di questi, 41 mila sono extracomunitari regolari, mentre 98 mila sono gli irregolari, con un’incidenza rispettivamente del 7,1% e del 16,7%. Un altro 9% è rappresentato da apolidi, mentre il gruppo più consistente è rappresentato da stranieri provenienti da altri Paese Ue: i comunitari sono 391 mila con un’incidenza del 66,8%. Certo, i comunitari non si possono rimpatriare. Quanto agli extracomunitari irregolari, anche a triplicare i rimpatri i numeri non sarebbero tali da incidere sugli oltre 300mila stranieri privi di permesso di soggiorno. Che restano in Italia e, dicono i dati del Viminale, hanno più del doppio della probabilità di mettersi nei guai rispetto a chi è regolare. Percentuali che sembrano avere senso anche per gli studi internazionali, che concordano nel suggerire “politiche che garantiscono uno status legale agli immigrati“, perché facilitano l’integrazione economica e sociale, portando a una riduzione oggettiva dei comportamenti devianti.
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