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Brancati: l'eros, la morale e altri demoni

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Nel suo pamphlet fresco di stampa Son qui: m'ammazzi (pubblicato da Einaudi), Francesco Piccolo compila una sorta di canone dei grandi scrittori che, a suo dire, hanno dato forma all'immaginario del maschio italiano, contribuendo a farne la triste caricatura di cui quotidianamente ci vengono ricordati i mostruosi difetti. Uomini che svalutano le donne, dominati dalle più ferine pulsioni sessuali, amanti dello scontro ma deboli, violenti e un filo patetici, possessivi e incapaci di stare soli. Tra coloro che hanno raccontato e in qualche modo contribuito a cristallizzare questa immagine sgradevole Piccolo colloca in un posto d'onore un autore per la verità un po' trascurato: il siciliano Vitaliano Brancati (1907-1954), autore di capolavori come Il bell'Antonio - da cui Mauro Bolognini nel 1960 ricavò un indimenticato film con Claudia Cardinale e Marcello Mastroianni - e Paolo il caldo. Si nomina poco, Brancati, e probabilmente si legge ancora meno, eppure vi sono pochi autori che siano in grado di parlarci con altrettanta forza. Anche se per motivi molto diversi da quelli indicati da Piccolo.

Una buona scusa per riscoprirne la figura è il volume appena stampato dalle Edizioni di storia e Letteratura: Carteggio 1952-1954 di Vitaliano Brancati . Franco e Vito Laterza (pp. 88, euro 18), che raccoglie una quarantina di lettere tra lo scrittore, i due cugini Laterza e la moglie di Brancati, ovvero l'attrice Anna Proclemer, conosciuta a Catania nel 1945 durante le riprese di un film e sposata l'anno dopo, sua compagna fino alla morte e madre di sua figlia Antonia. Nel 1952, Brancati aveva proposto agli editori Laterza un pamphlet intitolato Ritorno alla censura, a cui si accompagnava La governante, una commedia in tre atti che era stata appunto censurata dalla direzione generale dello spettacolo. Lo scambio epistolare ruota attorno a questi testi, e qui v'è di certo il primo elemento di interesse. Il narratore siciliano era stato convintamente fascista, e non ne fece mai mistero: a differenza di tanti suoi contemporanei non si nascose né si avvolse nella bandiera rossa per redimersi, atteggiamento che potrebbe fare scuola ai troppi che oggi affettano antifascismo per darsi un carattere. In ogni caso, finito il regime e giunta al potere la Democrazia cristiana, la situazione non si fece poi molto diversa, e Brancati la seppe descrivere in tutta la sua disperata evidenza. La ristrettezza di vedute, il conformismo plumbeo, la mancanza di coraggio lo soffocavano. Se ne accorse Leonardo Sciascia, che di Brancati fu giovanissimo allievo all'istituto magistrale di Caltanissetta dal 1937 (negli stessi anni, Brancati firmava sull'Omnibus di Longanesi).

In Nero su nero, Sciascia si sofferma sul romanzo più conosciuto del suo maestro, ovvero Il bell'Antonio, pubblicato nel 1949, e lo paragona all'Armance di Stendhal (autore sempre richiamato, forse un filo a sproposito, quando si esamina Brancati). «Il tema è quello dell'impotenza sessuale; il sottotema è quello di una particolare società, in un particolare momento storico. Come il titolo del libro di Stendhal è Armance ou quelques scènes d'un salon de Paris en 1827, quello del libro di Brancati potrebbe benissimo prolungarsi in ovvero qualche scena di un salotto catanese nel 1935: con tutta la differenza che può correre tra un salotto parigino e un salotto catanese, tra il salotto di una società e il salotto di una nonsocietà. Comunque, la monarchia di Carlo X, che doveva finire tre anni dopo, e il regime fascista, che sarebbe finito dopo otto anni, fanno da sfondo e condizionano fino all'allegoria gli angosciosi casi dei due protagonisti: Ottavio de Malivert e Antonio Magnano. [...] L'impotenza di Ottavio e di Antonio è in effetti come una esemplificazione fisiologica di una più profonda impotenza, di una impossibilità. Il vero loro segreto, quel segreto che Ottavio si porta nella morte e che il suo autore non svela, quel segreto che invece Antonio vede esplodere in un processo di Sacra Rota, non è quello dell'impotenza sessuale; è il segreto di una infelicità che possiamo riscontrare nelle pagine di Tacito: l'infelicità ni letteralmente ossessionati dal rapporto con le donne, che - come sempre avviene nei romanzi della decadenza - appaiono per lo più sfuggenti o addirittura mostruose e divoranti. I maschi di Brancati sono in balìa di Grandi madri terribili. La prima delle quali è senz'altro la Sicilia, che li avvince nel suo torpore, li attira e li cova. Li protegge ma insieme li rende inadatti alla vita altrove. E poi, ovviamente, ci sono le amanti vere e soprattutto immaginarie. Le donne che si favoleggia abbia concupito il Bell'Antonio. Quelle da cui è furiosamente ossessionato Giovanni Percolla, il protagonista di Don Giovanni in Sicilia. Quest'ultimo ha quarant'anni, vive con le sorelle, e fino «ai 36 anni non aveva baciato una signorina perbene». Fantastica di caviglie scodi vivere sotto un dispotismo più o meno blando, nella corruzione, nella cortigianeria».

Sì, Il bell'Antonio è un romanzo sull'impotenza: il protagonista è un siciliano di splendido aspetto a cui tutti attribuiscono doti straordinarie e ancora più strabilianti conquiste. Ma il suo segreto ben custodito è appunto l'incapacità di avere rapporti, anche se ben nascosta sotto uno splendore posticcio. Più in profondità, tuttavia, l'importanza che Brancati descrive è esistenziale. È vero, egli scrive tanto, e quasi solo di maschi. E sono in effetti uomini fragili, decadenti. Siciliani letteralmente ossessionati dal rapporto con le donne, che - come sempre avviene nei romanzi della decadenza - appaiono per lo più sfuggenti o addirittura mostruose e divoranti. I maschi di Brancati sono in balìa di Grandi madri terribili. La prima delle quali è senz'altro la Sicilia, che li avvince nel suo torpore, li attira e li cova. Li protegge ma insieme li rende inadatti alla vita altrove. E poi, ovviamente, ci sono le amanti vere e soprattutto immaginarie. Le donne che si favoleggia abbia concupito il Bell'Antonio. Quelle da cui è furiosamente ossessionato Giovanni Percolla, il protagonista di Don Giovanni in Sicilia. Quest'ultimo ha quarant'anni, vive con le sorelle, e fino «ai 36 anni non aveva baciato una signorina perbene». Fantastica di caviglie scoperte e gambe nude sfuggenti assieme agli amici, e nel frattempo si consola nei postriboli. Quando finalmente trova una che lo consideri, la sposa e si trasferisce a Milano, sembra destato dal sonno depressivo che la casa natale gli impone (da scapolo, lavora poco e si stende a letto per ore tutti i pomeriggi). Ma riecco di nuovo le femmine vampiresche: le milanesi vogliono immaginare una sua prorompente virilità sicula, e lui un po' le asseconda e un po' non si sente all'altezza. Ritrova la pace soltanto quando può tornare fra le braccia della sua Grande madre Sicilia, e abbandonarsi a un sonno lunghissimo nella sua stanza di sempre. Maschi come Percolla o Magnano sono uomini bloccati, impotenti perché non in grado di raggiungere un vero sviluppo. Si potrebbe perfino azzardare una lettura ispirata alla psicologia del profondo: essi bramano la donna perché cercano il femminile dell'anima, incapacitati a raggiungerlo, posseduti dall'archetipo del Puer, l'eterno fanciullo.

Scrive in proposito James Hillman che «lo spirito puer è il meno psicologico, il meno dotato di anima. La sua “sensibilità” è in realtà pseudopsicologica, un derivato dell'effeminatezza ermafroditica. Il Puer può cercare e rischiare; possiede intuizione, gusto estetico, ambizione spirituale, tutto, ma non psicologia; perché la psicologia richiede tempo, la femminilità dell'anima e il coinvolgimento dei rapporti. Piuttosto che psicologia, l'atteggiamento puer presenta una visione estetica: il mondo come immagini belle o come un vasto Scenario. La vita diventa letteratura, avventura dell'azione, ma sempre irriflessa e irrelata e perciò non psicologica». Le donne che questi maschi ricercano non sono reali ma spirituali, tuttavia appaiono irraggiungibili. La potenza maschile esibita si rivela dunque vuota, sterile. Talvolta per frustrazione si risolve in atti violenti, addirittura in stupri.

È quindi assurdo accusare Brancati di misoginia. Semmai è vero il contrario: l'impotenza del maschio moderno è la sua cifra. E se proprio gli si deve affiancare un autore francese, non sembra troppo ardito il paragone con Michel Houellebecq: entrambi sono nell'ordine dei decadenti, entrambi non sopportano la censura asfissiante, l'appiattimento coatto e la banalità abissale dei loro tempi nevrotici. Entrambi mettono in scena uomini in crisi, che si rifugiano nei sensi per scappare dall'insensatezza di quel che li circonda e di ciò che trovano dentro di sé. Ma vengono sconfitti. Il loro destino è disegnato nel finale del Bell'Antonio, quando il protagonista e suo cugino Edoardo si confrontano al telefono, dopo che il secondo ha abusato di una ragazza. Si parlano, affranti e terrorizzati, e infine scoppiano in un pianto privo di consolazione.




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