Dazi, Trump affonda il colpo su Canada, Messico e Cina: ma i tre non stanno a guardare, Pechino sul piede di guerra
L’America First di Donald Trump passa dai proclami ai fatti. Da martedì, sono ufficialmente in vigore i nuovi dazi imposti dal presidente statunitense sulle importazioni da Canada e Messico, colpiti con un’imposta del 25%, mentre le tariffe sui prodotti cinesi sono state raddoppiate al 20%. Un’escalation commerciale che rischia di travolgere un intero sistema di relazioni economiche costruito negli ultimi trent’anni e che, secondo il leader della Casa Bianca, è ormai iniquo e dannoso per gli Stati Uniti.
La strategia dell’America “a tutto dazio”
Non si tratta di una mossa isolata, ma di un affondo calcolato. Trump ha giustificato la stretta commerciale puntando il dito contro le tre nazioni colpite, ree, a sua detta, di non aver fatto abbastanza per fermare il traffico del Fentanyl e dei suoi precursori chimici, che continuano ad alimentare un’epidemia letale negli Stati Uniti. «Questa è una questione di sicurezza nazionale. Non permetterò che il mio popolo venga avvelenato senza conseguenze», ha dichiarato senza mezzi termini il presidente americano.
Cina, Canada e Messico rispondono colpo su colpo ai dazi di Trump
L’effetto domino non si è fatto attendere. Pechino ha reagito con una controffensiva immediata, imponendo dazi aggiuntivi del 10-15% su prodotti agroalimentari americani, dal mais alla carne, fino ai latticini. Ma non solo: il governo cinese ha aggiunto 25 aziende statunitensi alla sua “lista nera”, tra cui molte legate alla difesa, accusandole di fornire armi a Taiwan. «Se gli Stati Uniti insisteranno con una guerra dei dazi, una guerra commerciale o qualsiasi altro tipo di guerra, la parte cinese li contrasterà fino alla fine», ha avvertito Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri cinese.
Anche il Messico non è rimasto a guardare. Claudia Sheinbaum, presidente messicana, ha promesso una risposta «forte e decisa», con l’annuncio di ritorsioni atteso nelle prossime ore.
A nord, la reazione canadese è stata altrettanto determinata. Justin Trudeau ha annunciato dazi speculari del 25% su 30 miliardi di dollari di prodotti americani, minacciando un’ulteriore stangata da 125 miliardi se Washington non farà marcia indietro entro tre settimane. «Questi dazi interromperanno una relazione commerciale di straordinario successo», ha avvertito il premier canadese, mentre il governatore dell’Ontario, Doug Ford, ha ipotizzato misure più radicali come il blocco delle esportazioni di nichel e dell’elettricità verso gli Usa.
“Compra canadese”, non americano
Anche i civili rispondono: nasce il movimento Buy Canadian, un’ondata di patriottismo economico contro le rappresaglie del presidente Usa. I consumatori si mobilitano scegliendo prodotti locali per sostenere l’industria nazionale. Un sondaggio rivela che il 42% dei canadesi eviterà categoricamente beni statunitensi, mentre l’88% comprerebbe più volentieri un prodotto made in Canada. Inoltre, il 56% smetterebbe del tutto di acquistare un bene se non esistesse un’alternativa canadese. Il fenomeno si inserisce nel solco del movimento buy local, ma con una spinta più decisa, dettata stavolta dalla volontà di difendere l’economia della Terra degli aceri.
La Cina fa sul serio e avvia un’azione legale contro gli Usa
Dalle parole agli atti, la Cina proprio non scherza. Pechino ha infatti deciso di portare il contenzioso con Washington davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). «Abbiamo avviato un’azione legale contro gli Usa nell’ambito del meccanismo di risoluzione delle controversie commerciali», ha annunciato il ministero del Commercio cinese, come riportato dall’agenzia Xinhua. Tuttavia, come evidenziato dal Wall Street Journal, il meccanismo risulta di fatto paralizzato dal primo mandato di Trump, rendendo l’azione più simbolica che risolutiva.
La mossa di Washington, secondo il gigante asiatico, «viola le norme del Wto e compromette le fondamenta della cooperazione economica e commerciale tra i due Paesi». Così, la Repubblica popolare promette di «tutelare con determinazione i suoi interessi e diritti legittimi».
L’Europa in allarme, ma Meloni frena: “Nessun panico”
Ovviamente, le ripercussioni delle nuove misure potrebbero investire anche il Vecchio Continente. L’Europa, tradizionalmente favorevole a un sistema di libero scambio, si trova davanti a un bivio. Giorgia Meloni, però, invita a non farsi prendere dal panico. «Una guerra commerciale non conviene a nessuno, neanche agli Stati Uniti», ha dichiarato la premier, convinta che il tema del surplus commerciale possa essere affrontato «in maniera positiva, piuttosto che avviando un’escalation». E assicura: «Ho già affrontato il tema con Trump e continuerò a farlo per difendere l’Italia, che è una nazione esportatrice».
Effetti sulle borse: crollo per Stellantis, in rialzo i titoli difesa
Una situazione che al momento si traduce in questi numeri: Snam sale dello 0,83% a 4,64 euro per azione. Positivi anche Inwit, che sale dello 0,93%, Nexi (+0,63%) e Terna (+0,50%). Tuttavia, seduta difficile per Piazza Affari che apre al ribasso, in linea con gli altri Listini continentali. Stellantis perde il 3,36%, penalizzata dai dati sulle immatricolazioni e dalle prospettive sempre più incerte per il settore auto. Male anche Iveco (-2,93%), Pirelli (-2,81%) ed Eni (-2,34%). Ora il mercato si rifugia nei titoli europei del settore difesa.
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