Alessandro Michele: “Ho portato Gucci da 3 a 10 miliardi. Ho sofferto, ma ora sono arrivato dove dovevo stare”
“Gucci era come una famiglia: ed è un viaggio che è durato 8 anni e non sette come scrivono tutti e questa è l’unica cosa che mi fa arrabbiare (e ride ndr): mancavano solo 30 giorni agli otto anni e un mese nel nostro lavoro sono tre show e tre campagne! Da ragazzo studioso dico, ‘ma come ho finito quasi tutti gli esami dell’ultimo anno e questi mi tolgono tutto dopo quello che ho fatto?‘”. Alessandro Michele non usa mezzi termini per ricordare la fine del suo rapporto con Gucci, il marchio che ha contribuito a rilanciare a livello globale, portandolo, sotto la sua direzione creativa, “da 3 a 10 miliardi in 8 anni”.
Un addio doloroso, come confessa oggi in un’intervista al Corriere della Sera, ma vissuto senza rancore: “Come in una relazione dici che durerà una vita intera, però finisce. E per me era la vita, ma proprio per questo non posso guardarla con rancore. […] Tendenzialmente trattengo le immagini di quello che ho visto, […] sarebbe controproducente nei confronti della vita”. E sul fatto che il mondo della moda si sia sentito “orfano” dopo il suo annuncio, aggiunge “Ho sofferto molto, lo dico, ma io ero preparato e ho affrontato il cambiamento. Forse gli altri se lo aspettavano meno, poi hanno capito”. Lo stilista romano, però, non si è fermato. Dopo l’addio a Gucci, ha ricevuto “tante offerte”, scegliendo infine Valentino: “Mi sembrava una sfida molto diversa. Perché è un brand che viene dalla couture, una cosa completamente nuova. […] È affascinante, è pieno di storia, di racconti, di aneddoti, di archivio. È la vita di un uomo, c’è il suo nome“.
Un nuovo inizio, favorito anche dal rapporto con Jacopo Venturini, CEO di Valentino, e con François-Henri Pinault, CEO di Kering (che ha acquisito il 30% di Valentino): “C’era Jacopo, un amico, una persona che stimo, avevo lavorato con lui. Ci siamo sempre piaciuti. […] E poi c’era Francesca (Bellettini ndr) e Francois-Henri. […] Era come se si fossero rimesse in fila le cose“. Ma a chi ipotizza una “rivincita” nei confronti di Gucci, Michele risponde con fermezza: “Ci siamo sempre rispettati. […] Io ero andato via in pace e la loro stima è stata costante. Se no, non sarei mai tornato”. E aggiunge, riferendosi al periodo successivo all’addio: “Non mi sono mai visto disoccupato, […] Mi sono sorpreso di quello che stava succedendo. Avevo fatto quel prodigio, ma non me ne ero mai reso conto. […] quando poi ho messo il piede fuori e ho visto come funzionava questo circo, che cosa c’era fuori e come ero percepito, mi sono stupito”.
L’intervista è anche l’occasione per parlare di Davide Renne, amico e collega scomparso prematuramente: “Mi manca. […] È un girone dantesco, perché mi viene in mente però non c’è e non so dove è. Non abbiamo avuto il tempo di salutarci. […] Ogni tanto gli facevo le battute sulla morte ma lui era superstizioso e si infastidiva in modo allegro. Lui era più giovane, mai avrei pensato se ne sarebbe andato, tantomeno prima di me”. E a proposito di affetti, Michele parla anche del suo compagno, Giovanni Attili, docente alla Sapienza: “Vanni è completamente dentro [al mio mondo]. […] Ho una grande riverenza nei suoi confronti. […] Sono allegramente figlio suo, lavora con me ma se devo andare ad ascoltare alle conferenze deve aspettare che mi inviti. È una persona iper e mi piace molto perché voglio sentire sempre che mi devo guadagnare tutto”.
Non manca un accenno alla sua vita privata, alla sua casa “molto googolata” (“Abbiamo accettato di farla fotografare per un servizio ma mai avrei pensato sarebbe diventata cosi virale, ingestibile. Una bomba”) e all’amicizia con Harry Styles: “Harry fa parte della nostra famiglia. Come altre persone, come Elton. È come un fratello minore. […] Quelle persone diventano indispensabili […] è una cosa molto bella, molto preziosa”. Quindi, con grande autoironia, Michele si definisce un uomo pieno di “vizi”: “Ho il vizio di stare bene, ho il vizio di volermi divertire, ho il vizio delle cose belle, ho il vizio di volere”. Ma precisa: “Quelli canonici non li ho mai avuti: non ho mai fumato, non mi sono mai drogato. È il tentativo di conservarmi perché mi piace esserci, con la testa e se voglio divertirmi devo essere presente. Ah, ho anche il vizio di lavorare, molto”.
Ma è quando si tocca il suo rapporto con la moda che diventa un fiume in piena: “È un mondo che paragono agli anni Sessanta e Settanta quando esplose il petrolio e tutti capirono che bisognava cercarlo ma qui, con la creatività, che è gassosa e non puoi toccare, non esiste un territorio dove estrarlaanche se è diventato un mercato redditizio. Devi passare attraverso a una specie di rito sciamanico, se succede piovono soldi, però non è che puoi metterti attorno a un tavolo e decidere: ‘Andiamo lì e ci prendiamo il petrolio'”. E aggiunge: “Sono ottimista, è un lavoro che io ho scelto tanti anni fa perché era meraviglioso, credo che in quanto molto connesso alla vita, riprenderà a girare. Che poi produca soldi o no, anche se per molti importanti, però quella che noi chiamiamo moda non è tanto interessata, né cosciente di dover produrre soldi. La moda si connette alla vita e ai cambiamenti e poi succedono cose”.
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