Village People, YMCA: dalla discoteca alla Casa Bianca
Sono schegge impazzite le canzoni pop: nascono, sbancano le classiche, poi svaniscono nell’oblio per decenni e all’improvviso, resuscitano, riscoperte da registi di serie tv o film oppure dai consulenti musicali di campagne pubblicitarie. Non era però mai successo che una hit pubblicata nel 1978 riconquistasse il primo posto nelle classifiche dance di tutto il mondo grazie all’endorsement del Presidente degli Stati Uniti. È questa la traiettoria di Y.M.C.A., l’evergreen dei Village People, un pezzo disco music con una storia incredibile, degna di un film. L’ultimo fotogramma, datato 20 gennaio 2025, del “Y.M.C.A. Movie” è quello del Presidente Trump che agita le braccia a pugni chiusi sul palco con i Village People qualche ora prima del giuramento, davanti agli uomini e alle donne del MAGA (Make America Great Again).
Il primo ciak, invece, risale al 1976, quando il produttore-compositore francese, Jacques Morali, che aveva esordito nel music business scrivendo brani per le orchestre del Crazy Horse a Parigi, si trasferisce a New York per cavalcare l’onda della disco music e dello Studio 54. Gira freneticamente per tutti club della Grande Mela, Morali, fino a quando approda al Les Mousches nel cuore del Greenwich , una discoteca gay in cui si esibisce un ballerino di origini Lakota Sioux, Felipe Rose, con un copricapo da nativo americano e campanelli alle dita dei piedi. Nasce quella sera l’idea dei da costruire intorno alla voce di Victor Willis, un vocalist professionista, tra i protagonisti del musical The Wiz a Broadway. «Cercasi cantanti e ballerini gay di bell’aspetto e con i baffi» recitava l’annuncio fatto circolare da Morali e dal socio in affari, anche lui francese, Henry Belolo. L’obiettivo era una band con un’immagine ambivalente che mettesse in scena gli stereotipi del look macho-gay e il più tradizionale melting pot americano: il poliziotto, il native american, l’operaio, il cowboy, il biker e il militare.
Insomma, un’operazione costruita a tavolino, destinata, come spesso in questi casi, a ballare per una stagione o poco più. Ma non è andata così. San Francisco, Macho Man, Y.M.C.A. Go West e In The Navy diventano hit mondiali in rapida sequenza. I Village People finiscono sulla copertina di Rolling Stone, una giovanissima Madonna e un altrettanto giovane Michael Jackson aprono i loro concerti. Ma rapida come l’ascesa, arriva il declino. La disco music esce dal radar dell’industria musicale nel 1979 e un aiuto sostanziale alla fine del genere la fornisce la Disco Demolition Night di Chicago, nel 1979, quando un deejay rock, Steve Dahl, invita migliaia di persone a radunarsi al Comisey Park Stadium e a fare a pezzi gli album disco music considerata da Dahl e dai suoi seguaci una perversione musicale e culturale. Una scena apocalittica e surreale che però mette la disco music definitivamente all’angolo.
Quando il 20 giugno del 1980 il film dei Village People, Can’t stop the music, ispirato alla loro storia, arriva nei cinema americani, la disco music è già passato remoto e la commedia musicale viene stroncata e derisa senza mezzi termini. Incassi ai minimi storici e diciotto milioni di dollari di perdita. Una catastrofe. Il leader Willis lascia la band e gli anni Ottanta del gruppo sono una lunga sequenza di show sulle navi da crociera e in convention aziendali. Poi, inaspettato, il colpo di scena: agli inizi dei Novanta i New York Yankees fanno risuonare Y.M.C.A. nel quinto inning delle loro partite. In poche settimane tutti i fan del baseball intonano il vecchio classico “disco” lungo tutta l’America. Le presunte allusioni sexy gay (la canzone si rivolge a un ragazzo invitato a frequentare i centri sportivi della Young Men’s Christian Association) passano completamente in secondo piano, quello dei Village People è un inno da cantare a squarciagola con tutta la famiglia agli eventi sportivi.
La macchina del revival si è messa in moto e non si ferma più: per i Mondiali di calcio negli States del 1994, i Village People scrivono per la nazionale tedesca l’inno Far Away in America, poi vanno in tour con Cher e da soli in mezzo mondo. Nel 2004 il Segretario di Stato Americano Colin Powell, a conclusione di un vertice sulla sicurezza a Giacarta, con un elmetto da minatore in testa e un martello infilato nella cintura, intona Y.M.C.A. accompagnato da cinque funzionari del suo staff travestiti da Village People. Ad assistere allo show i ministri degli Esteri di tutta l’Asia e l’Europa… Nessuno si scompone, anche perché nel frattempo il revival dei classici disco music è un fenomeno mondiale senza confini. A chiudere il cerchio, Donald Trump che nel 2018, in occasione della chiusura di un trattato commerciale tra Stati Uniti Canada e Messico, intona per la prima volta il ritornello del brano. Che da quel momento diventerà la colonna sonora dei suoi comizi e delle proteste dei suoi sostenitori anti-lockdown ai tempi del Covid. Non solo, Y.M.C.A è anche la canzone che accompagna la sua uscita dalla Casa Bianca nel 2020. Pare che in principio i titolari dei diritti della canzone, tra cui il leader del gruppo Victor Willis (autore del testo), non fossero d’accordo nel concedere a Trump l'utilizzo. Poi, dopo la vittoria del novembre 2024, ci hanno ripensato e Willis stesso ha postato un entusiastico messaggio su Facebook: «I benefici economici sono stati notevoli: si stima che Y.M.C.A. abbia incassato diversi milioni di dollari da quando il Presidente eletto ha scelto di usare la canzone. Che, come ho già detto più volte, non è un inno gay». Dal MAGA al MYGA il passo è breve: “Make Y.M.C.A. Great Again”.