“Meloni più pericolosa di Berlusconi”: archiviata al Csm la pratica contro il pm Patarnello. Contrari i laici di destra
Il Consiglio superiore della magistratura ha archiviato la pratica di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti di Marco Patarnello, sostituto procuratore generale della Cassazione ed esponente della corrente progressista di Magistratura democratica (Md). Patarnello era finito sotto attacco lo scorso ottobre per un suo intervento sulla mailing list dell’Associazione nazionale magistrati – aperta solo agli iscritti – in cui definiva l’azione politica di Giorgia Meloni “molto più pericolosa” di quella di Silvio Berlusconi, avendo come obiettivo “la riscrittura dell’intera giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto” personale. La mail, pubblicata dal quotidiano Il Tempo, era stata rilanciata dalla stessa premier innescando un’aggressione mediatica da parte della maggioranza: al Csm i cinque consiglieri “laici” (eletti dal Parlamento) in quota centrodestra avevano chiesto l’apertura della pratica di trasferimento, sostenendo che le dichiarazioni minassero “la credibilità e la terzietà del magistrato”. Dopo un lungo dibattito, il plenum dell’organo di autogoverno ha approvato a maggioranza (17 i voti a favore) la proposta di archiviazione avanzata dalla Prima Commissione: contrari, ovviamente, i cinque laici di centrodestra, mentre si sono astenuti quattro dei sette consiglieri di Magistratura indipendente (Mi), la corrente conservatrice delle toghe, la più vicina al governo in carica.
Nella delibera approvata si legge che la mail di Patarnello è riconducibile alla “corrispondenza privata per la quale vige la tutela della libera manifestazione del pensiero“. Alla fine delle motivazioni, però, è stato inserito un passaggio di critica indiretta al magistrato: nonostante l’assenza dei presupposti del trasferimento d’ufficio, si legge, “l’ampia risonanza mediatica” dell’intervento “rende comunque opportuno ribadire l’attualità” di una pronuncia della Corte costituzionale in cui si sottolineava il dovere di giudici e pm di astenersi da comportamenti che possano far dubitare della loro indipendenza. Un’aggiunta voluta in particolare dal relatore, il togato indipendente Andrea Mirenda, e dal gruppo di Mi: “Non possiamo non prendere atto di come quella corrispondenza privata abbia avuto straordinaria risonanza mediatica; di come essa, a torto o a ragione, abbia suscitato oggettive perplessità, magari non condivisibili ma certo non stravaganti”, ha detto in plenum Mirenda. Alcuni consiglieri hanno proposto un emendamento per sopprimere questa parte di testo, respinto dalla maggioranza del plenum: a favore il gruppo progressista di Area, Mimma Miele di Md, l’indipendente Roberto Fontana e il laico in quota M5s Michele Papa.
In una nota i consiglieri di Area scrivono che la pratica contro Patarnello era stata “aperta senza fondamento, come riconosciuto da alcuni tra gli stessi consiglieri proponenti. Nel dibattito però”, denunciano, “abbiamo ascoltato interventi preoccupanti, per una visione che vorrebbe i magistrati e l’Anm silenziati nel dibattito pubblico. Di fronte all’annuncio che altre procedure consimili verranno aperte, abbiamo annunciato la nostra posizione di totale contrarietà a una prassi illiberale, perché contraria alle regole dell’ordinamento e giocata sulla serenità e sulla professionalità dei singoli magistrati che si vorrebbero trasferiti”. Anche il togato Marco Bisogni, del gruppo “moderato” di Unità per la Costituzione (UniCost) ha denunciato in plenum che la pratica “come altre analoghe, è stata utilizzata per ragioni prevalentemente politiche”: ”Colpisce poi”, ha sottolineato, “che vengano stigmatizzate sempre e solo dichiarazioni pubbliche che colpiscono la sensibilità dei laici di centrodestra”. La consigliera leghista Claudia Eccher invece ha respinto l’accusa di aver chiesto il trasferimento di Patarnello per fini politici: quella di Patarnello, ha detto, è una mail “non solo inopportuna, ma dirompente che in un qualsiasi altro Paese europeo avrebbe portato a conseguenze disciplinari di una certa gravità”.
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