Le rivoluzioni parallele di Xi e Putin
L’analisi di Kaplan in Waste Land smaschera la ciclicità della storia: i grandi sconvolgitori rivoluzionari emergono sempre nei momenti di decadenza dell’ordine costituito, pronti a riscrivere il destino delle nazioni. Oggi, questa dinamica trova la sua incarnazione più lampante in Vladimir Putin e Xi Jinping, due leader che hanno infranto l’illusione post-Guerra Fredda di un progresso lineare e liberale, risvegliando i fantasmi autoritari dei rispettivi Paesi.
La Russia di Putin è un laboratorio di restaurazione del mito storico. Il culto di Stalin, un tempo ufficialmente condannato, è tornato a occupare il centro dell’identità nazionale. La riabilitazione di Stalin non è un fenomeno spontaneo, ma un’operazione orchestrata dallo Stato: media, istruzione e cultura minimizzano i crimini del dittatore e ne esaltano invece il ruolo di architetto della vittoria e dell’ordine. Monumenti risorgono, i libri di storia vengono riscritti, la memoria della “Grande guerra patriottica” diventa mito unificante. Putin non si limita a riabilitare Stalin: ne amplifica la figura di uomo forte, capace di garantire sicurezza e prestigio internazionale. Questa operazione non è casuale, ma un preciso strumento politico. Invocando lo spettro di Stalin, Putin legittima il proprio autoritarismo, giustifica la repressione e mobilita la società verso nuovi progetti imperiali, come la guerra in Ucraina. Il messaggio è inequivocabile: la grandezza della Russia richiede una guida di ferro, e Putin, come Stalin, si propone come l’uomo della provvidenza.
Dall’altra parte del continente, Xi Jinping ha orchestrato una rottura netta con l’eredità di Deng Xiaoping. La Cina di Deng era pragmatica, orientata al mercato, cauta: «Nascondere le proprie capacità, aspettare il momento giusto». La Cina di Xi è tutt’altro. Xi ha smantellato la leadership collettiva, abolito i limiti di mandato e si è imposto come centro indiscusso del Partito comunista. L’era dei contrappesi istituzionali è finita. Le campagne anti corruzione hanno eliminato i rivali e consolidato il suo potere personale. Le riforme di mercato sono state ridimensionate a favore del controllo statale e della «prosperità comune». La presa del Partito si estende ovunque: economia, tecnologia, cultura, persino Internet. La visione di Xi non è solo economica, ma profondamente ideologica: il Pensiero di Xi Jinping è inserito nella costituzione, e la disciplina ideologica viene imposta con rigore maoista.
Un passaggio emblematico di questa svolta è stata la teatralizzazione della rimozione e dell’arresto di Hu Jintao durante il Congresso del Partito Comunista nel 2022: una scena trasmessa al mondo intero che ha segnato la rottura definitiva con l’epoca di Deng, di cui Hu era ancora un erede politico. Xi ha voluto mostrare, con ostentazione, che la stagione del pragmatismo e della collegialità era finita, sostituita da una nuova era di centralizzazione e controllo personale.
Sul piano internazionale, Xi ha abbandonato la diplomazia discreta di Deng per una politica estera assertiva, talvolta apertamente conflittuale. La Belt and road initiative, l’espansione militare nel Mar Cinese meridionale e i tentativi di riscrivere le regole delle istituzioni globali sono segnali di un’ambizione chiara: non più partecipare all’ordine internazionale, ma riscriverlo secondo gli interessi cinesi.
L’analisi di Kaplan offre la chiave di lettura di queste rivoluzioni parallele. Putin e Xi non sono anomalie: sono gli ultimi di una lunga serie di sconvolgitori che sorgono dalle macerie dei sistemi esausti. Si nutrono di rancori storici, strumentalizzano il mito nazionale e promettono la restaurazione attraverso la forza. I loro regimi si fondano sulla memoria selettiva di traumi e trionfi, usando il passato come arsenale per il controllo del presente.
L’ordine liberale, indebolito da disuguaglianze, polarizzazione e crisi istituzionali, oppone poca resistenza. In questo vuoto, il ritorno dell’uomo forte non è un incidente ma una costante dei cicli storici. Waste Land di Kaplan non è solo una diagnosi del declino, ma un monito: le forze della discontinuità sono sempre pronte a riemergere, e i nuovi architetti del potere stanno già ridisegnando la realtà a loro immagine.