Ora Papa Leone condanna apertamente Israele: se Netanyahu pensava di rabbonirlo, si è sbagliato
Il Vaticano osserva allibito come lo stato d’Israele scivoli sempre più verso una posizione di violenza illimitata, suprematista e sostanzialmente razzista nei confronti della popolazione palestinese. Il bombardamento della parrocchia cattolica di Gaza ad opera di carri armati israeliani è stato considerato dalla Santa Sede un atto di arroganza e violenza intollerabili. Se il premier Netanyahu pensava di rabbonire il pontefice con parole di circostanza su proiettili vaganti sparati per errore, si è sbagliato.
Il Papa delle Americhe è delicato, ma determinato e non si lascia intortare. All’Angelus di domenica ha denunciato senza mezzi termini l’ “attacco dell’esercito israeliano” contro la parrocchia. Poi in crescendo ha additato le responsabilità del governo israeliano con termini precisi: “Continui attacchi militari contro la popolazione civile e i luoghi di culto… punizione collettiva…uso indiscriminato della forza… spostamento forzoso della popolazione“.
Da notare che in contemporanea il Vicariato di Roma, la diocesi del papa, emetteva un comunicato durissimo, invocando – oltre alla liberazione degli ostaggi e la solidarietà per le vittime e le loro famiglie – la “conversione dei carnefici”. Dopo 600 giorni di guerra e oltre sessantamila morti, proseguiva il comunicato, la comunità internazionale ha il dovere di intervenire per arrestare l’ “assurdo e deplorevole bagno di sangue”.
Papa Leone non ha voglia di scontrarsi in pubblico con il governo israeliano, ma è chiaro che per il Vaticano il carnefice responsabile del bagno di sangue ha un indirizzo: la sede del governo d’Israele.“Strage” è la parola che ricorre ormai quasi quotidianamente sull’Osservatore Romano. Per la Santa Sede l’ostacolo ad una svolta in direzione di una pace definitiva e giusta risiede primariamente, al di là delle barbarie commesse da Hams il 7 ottobre, nella politica di Netanyahu, il quale da lunghi anni nega il diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato. Non risponde a verità che il premier israeliano sia ostaggio (come spesso ripetono i media) dei due ministri estremisti Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich.
Netanyahu e parecchi altri ministri del suo governo sono sabotatori degli accordi Oslo, che prevedevano 2 Stati, e sono intenzionati in maniera più o meno aperta a impadronirsi definitivamente della Cisgiordania. Inoltre dietro questi esponenti politici c’è una fetta notevole dell’elettorato israeliano, intossicato da un nazionalismo senza freni per il quale i palestinesi devono sottomettersi o andarsene. E’ questa la strada estremista e violenta che lo stato di Israele ha imboccato, rinnegando – si direbbe in termini religiosi – la visione di un “focolare” per gli ebrei di tutto il mondo, che rispetti al tempo stesso il diritto ad un “focolare” per i palestinesi, abitanti della stesso territorio chiamato dai cristiani Terrasanta.
Una decina di giorni fa squadracce di coloni ebraici hanno attaccato in Cisgiordania il villaggio palestinese cristiano di Taibeh. L’Osservatore Romano ha descritto l’episodio con asciutto realismo, parlando delle “bande di coloni ebraici” che sotto lo sguardo inerte dei soldati israeliani uccidono, danneggiano gli uliveti e impediscono agli abitanti palestinesi di accedere ai loro campi. Sono stati appiccati incendi accanto all’antica chiesa di Al-Khader e nei villaggi circostanti sono state incendiate case, auto, prodotti agricoli. Altrove è stato distrutto un acquedotto che rifornisce i terreni palestinesi.
Tutto questo, denuncia l’Osservatore Romano, è causato dall’ “attivismo terroristico dei coloni”. Le devastazioni sono all’ordine del giorno da un anno e mezzo e hanno portato già a oltre ottocento morti. Il messaggio indirizzato ai palestinesi di Cisgiordania è: “Questa non è terra per voi”.
‘Pogrom’ è un termine russo, significa devastazione. Indica le violenze che nell’Ottocento e nel Novecento colpivano i villaggi ebraici in Russia, Polonia, Ucraina e altri paesi dell’Europa orientale e mostravano una folla feroce di contadini “cristiani” che sotto lo sguardo compiacente delle autorità si accanivano contro gli ebrei. Per quelle generazioni che dopo la Seconda guerra mondiale sono andate – scosse nell’animo – in pellegrinaggio a Dachau o Auschwitz e hanno seguito con partecipata emozione l’epopea del film Exodus e la nascita dello stato di Israele, l’idea che i discendenti delle vittime di pogrom possano abbandonarsi alla stessa ferocia è semplicemente agghiacciante.
Così come è sconvolgente che il governo di Israele, mentre ancora sono vivi i superstiti dei lager nazisti, progetti a Gaza una città-campo di concentramento dove chi entra non può più uscire a meno che non espatri e abbandoni per sempre la sua terra. E’ sintomatico che nel comunicato vaticano, in cui è stata riferita la telefonata di Netanyahu a Leone, vengano citati come sempre “Palestina e Israele”. Perché il diritto ad esistere dell’uno esige il diritto ad esistere dell’altro.
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