Pedro, bufera sui social per la foto del figlio vestito da principessa
La vicenda di cui è stato protagonista Pedro Eliezer Rodríguez Ledesma detto semplicemente Pedro – calciatore spagnolo trentasettenne della Lazio già stella del Barcellona – è purtroppo emblematica dei danni che l’ideologia prevalente produce. Il 23 giugno scorso il giocatore e la sua famiglia sono andati alle Canarie in un gigantesco parco acquatico chiamato Siam Park per festeggiare l’ottavo compleanno del figlio Marc. Il bambino ha festeggiato con una enorme torta con sopra Lilo e Stitch, personaggi del cartone Disney. Nelle foto che il padre ha prontamente pubblicato sui social, il piccolo Marc indossa un vestitino con le spalline tipicamente femminile e un diadema luccicante da principessina.
Ecco la prima stortura. Davvero c’è bisogno di esibire sui social un bambino di otto anni? Davvero non si può evitare di condividere un momento di gioia famigliare con tutto il mondo compresi eventuali tifosi ostili a Pedro? Puntualmente infatti, e qui siamo alla seconda è più grave aberrazione contemporanea, sulla Rete si è scatenato l’inferno. Sotto alla foto sono apparsi commenti pungenti, talvolta offensivi, spesso irridenti. Di nuovo viene da chiedersi che bisogno senta l’occidentale medio di scaricare il suo astio online, persino quando c’è di mezzo un bambino di otto anni che meriterebbe rispetto e protezione. Con tutta evidenza, la stupidità digitale (con il suo strascico di violenza verbale) è contagiosa e molto difficile da arginare.
Esaminate le prime due perversioni, è il momento delle ulteriori storture, che si manifestano sotto forma di riflessi condizionati stimolati appunto dall’ideologia dominante. Di fronte agli attacchi online, un giornalista spagnolo molto influente sul web, Fonsi Loaiza, è intervenuto a gettare sul fuoco la benzina dell’idiozia. «Il calciatore Pedro Rodríguez è oggetto di molestie online da parte di uomini sessisti e omofobi che criticano l’abbigliamento di suo figlio. Molti di loro appartengono alla sua stessa squadra, la Lazio, che ha ultrà neonazisti sugli spalti e gode di impunità in Italia», ha scritto Loaiza su X, suscitando la comprensibile indignazione dei laziali. È il solito bel giochino: figurati se la colpa non è dei fascisti e nazisti che imperversano ovunque in Italia.
Il nodo centrale della faccenda, tuttavia, è un altro, e cioè la questione del presunto sessismo e della presunta omofobia. Qualcuno, commentando la foto del piccolo Marc, si è chiesto se fosse maschio o femmina, altri hanno biasimato i genitori per averlo vestito da bambina. Frasi che possono risultare sgradevoli ma che non sono insulti: se uno sceglie di condividere una foto col mondo, deve aspettarsi che ci siano reazioni.
Non risulta, però, che Pedro o sua moglie abbiano scritto qualcosa a proposito dell’identità e dell’orientamento sessuale del figlio. Eppure, sempre per riflesso condizionato dall’ideologia, associazioni arcobaleno e giornalisti politicamente corretti si sono precipitati a celebrare il calciatore «campione di coraggio» che non ha tolto l’immagine nonostante gli attacchi. In un lampo, il piccolo Marc è stato etichettato (dai suoi presunti difensori) come un bambino gender fluid. Caterina Soffici, sulla Stampa, ha profuso indignazione, scomodando pure Elena Giannini Belotti, autrice del celebre Dalla parte delle bambine, «la quale dimostrò chiaramente che i concetti di femminilità e mascolinità non sono caratteristiche innate dell’individuo, ma fabbricate dall’ambiente in cui si è immersi». Peccato che la Belotti, pur cercando di demolire alcuni stereotipi sui ruoli maschili e femminili, non metta in questione l’identità biologica di maschi e femmine come si usa fare oggi. Quanto ai «condizionamenti culturali», beh, il caso del piccolo Marc dimostra quanto siano presenti soprattutto fra i tifosi del gender. Egli è stato subito etichettato, presentato dai sedicenti buoni come un membro della minoranza da proteggere. In questo modo non si fa il suo bene: al contrario lo si spinge su una strada che potrebbe non essere la sua.
La verità è che questo bambino andrebbe semplicemente lasciato in pace. Non andrebbe esibito sui social, non andrebbe insultato da destra o sinistra, non andrebbe arruolato in una minoranza. Non sappiamo perché lo abbiano vestito così, ma sappiamo che per negare il proprio corpo e riscrivere la propria identità 8 anni sono pochi. E sono pochi pure per finire nel tritacarne mediatico.