La denuncia del medico di Emergency: “Gaza è una gabbia per topi. E il mondo guarda facendo troppo poco”
“Evacuare? Ma cosa resta da evacuare, se l’88% della Striscia di Gaza è inabitabile?”. La denuncia arriva da Raffaella Baiocchi, ginecologa e coordinatrice medica di Emergency, in collegamento da Khan Yunis con 24 Mattino Estate, su Radio24. Il medico smonta la propaganda del governo israeliano, che si difende dalle accuse di violazione del diritto internazionale affermando che dà ordini tempestivi di evacuazione alla popolazione di Gaza.
“Attualmente la quasi totalità del territorio è coperta da macerie, oppure è zona di operazioni militari israeliane o ancora soggetta a ordini di evacuazione – spiega Baiocchi – La stragrande maggioranza della popolazione è accampata nelle cosiddette ‘aree bianche’, che sono sempre di meno. Ma cosa significa evacuare? Significa ricevere un’allerta di lasciare l’area perché verrà colpita da operazioni militari pesanti. Le famiglie devono raccogliere in fretta le poche cose che hanno, smontare le baracche e rimontarle altrove, spesso con un preavviso di pochi minuti. Ci sono persone stremate che compiono traslochi forzati ogni pochi giorni o addirittura ogni poche ore. E così continuano a spostarsi lungo la costa, fino a concentrarsi nel sud, ad Al-Mawasi, che ormai è diventato un vero e proprio campo di concentramento a cielo aperto: le persone vivono ammassate in condizioni igieniche spaventose, con temperature estive altissime, senza acqua, senza elettricità e ovviamente senza frigoriferi”.
Alla domanda se si avverta un possibile cambio di passo o un’apertura verso una tregua, Baiocchi risponde con amara lucidità: “Si è persa la speranza. Che la situazione sia catastrofica lo diciamo da mesi, ma continuare a fare proclami e attendere significa permettere che ogni giorno ci siano ancora un centinaio di morti. Cosa è cambiato davvero? Poco. I corridoi umanitari che avrebbero dovuto aprirsi in modo significativo sono ancora bloccati. Negli ultimi tre giorni sono entrati pochi camion: ieri, ad esempio, appena un centinaio. Durante il precedente cessate il fuoco, i camion che entravano ogni giorno erano tra i 600 e gli 800“.
Il medico di Emergency si sofferma anche sugli aiuti paracadutati: “Ogni tanto vediamo questi lanci dal cielo, che però per noi sono motivo di grande paura. Abbiamo persino un protocollo di sicurezza se un lancio viene annunciato nella nostra zona, perché spesso non avvengono in aree concordate. Alcuni pacchi finiscono in mare, e forse è meglio così – continua – ma altri cadono sulle tende. Gli ospedali sono pieni di persone ferite dai paracadute: alcuni vengono colpiti direttamente, altri si fanno male nelle resse che si scatenano per recuperare i pacchi. È come gettare carne viva nella gabbia dei leoni. Capisco le buone intenzioni, ma ci sono altri modi per far entrare gli aiuti. Le vie di terra, durante il precedente cessate il fuoco, erano percorribili e consentivano una distribuzione molto più sicura ed efficace”.
Sul fronte sanitario, la situazione è drammatica: “I nostri principali rifornitori sono le Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma la settimana scorsa il più grande magazzino di scorte è stato bombardato ed è andato completamente distrutto. I depositi oggi accessibili nella Striscia sono pari a zero. Esiste un altro magazzino a Gaza City, ma è irraggiungibile. Speriamo che in questa nuova fase di apertura passi almeno un po’ di materiale medico. Da mesi attendiamo anche un nostro carico, bloccato in Egitto dal 2024“.
Baiocchi sottolinea che la stragrande maggioranza delle malattie che colpiscono la popolazione non deriva solo dalle ferite di guerra o dalla malnutrizione: “Qui si muore anche per la mancanza di igiene. Non c’è più nemmeno la carta igienica. È difficile anche solo immaginare cosa significa vivere in queste condizioni. Le infezioni si moltiplicano, e sono comparse patologie rare: ad esempio, sono già stati notificati 46 casi di Sindrome di Guillain-Barré, una grave paralisi generalizzata che richiede il ricovero in terapia intensiva per settimane, se non mesi”.
Nel confronto tra il conflitto in Sudan e quello in Gaza, Baiocchi sottolinea una differenza sostanziale: “I numeri in Sudan sono più alti, ma anche il territorio è molto più esteso. La vera differenza è che a Gaza la popolazione non può fuggire. In ogni altra guerra i civili scappano, si rifugiano altrove. Qui no. A Gaza non ci sono profughi che escono – conclude – ci sono profughi interni, intrappolati in una gabbia per topi. E tutto questo avviene sotto gli occhi del mondo, in diretta. Fame, sete, malattie, bombardamenti indiscriminati, attacchi costanti: questa è un’emergenza umana prima ancora che umanitaria, e riguarda anche noi che osserviamo facendo molto meno di quanto dovremmo“.
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