Metà medici e metà malati, noi italiani siamo così
Trenta milioni di italiani si credono malati. Trenta milioni di italiani si credono medici. Però gli italiani non sono sessanta milioni, ma un po’ meno, direte voi; si, ma tanti si credono sia medici che malati. Mezza Italia si sente malata per statuto, vezzo o vizio, perché ha paura delle malattie, è ipocondriaca e patofobica, oppure più candidamente vuole attenzione, coccole, cerca alibi per la propria vita, si dà malata per imboscarsi o perfino per civetteria. Mezza Italia, invece, ha la sindrome del santone e del risolutore, la vanità del saputello, si sente assistente dell’umanità e soccorritore, consigliere supremo, uomo di mondo, conoscitore della vita e delle sue patologie. Nel mezzo ci sono quelli che si sentono malati e perciò sono diventati medici fai-da-te per autocertificazione; o viceversa credendosi medici si sentono poi addosso tutte le malattie di cui vengono a sapere.
Il bello è che sia quelli che si credono malati sia quelli che si credono medici attingono le loro diagnosi, i loro malesseri e le loro malattie navigando su Internet. Come il potere politico cambiò volto col suffragio universale e ciascun cittadino si sentì sovrano, così la medicina ha cambiato volto con Wikipedia e il Web, e ciascun utente si sente medico e paziente, autarchico e sovrano. Il medico è interpellato solo per un consulto, una conferma o una prescrizione ma la diagnosi me la scarico da Internet, lui deve solo certificarla o fornire utili supporti. La sovranità fai-da-te è una malattia del nostro tempo e si manifesta in alcuni ambiti particolari: i medici, gli infermieri, ma anche gli insegnanti sono spesso vittime di aggressioni, in ospedale, al Pronto soccorso o a scuola. Il sottinteso è che l’utente, il paziente, il parente del malato, o il genitore dell’alunno, crede di saperne più di quel che sanno il dottorino o la professorina, e quindi li incalzano, li minacciano, li menano se non corrispondono al protocollo-selfie dell’utente. E devi vedere come interrogano i medici, come obiettano quando le loro diagnosi e le loro terapie non corrispondono a quel che hanno letto su internet. Un tempo i medici esercitavano un potere magico sulla gente, suscitavano timore, reverenza ed ubbidienza; oggi succede solo se la malattia avanza e lo smartphone non basta.
Al telefono, al bar, a tavola, al lavoro, il gioco preferito degli italiani è al medico e all’ammalato. È un po’ come guardie e ladri o uomini e caporali. I discorsi di contorno sono la cucina, i viaggi, le vacanze, i vestiti; con qualche fastidio si accenna alla politica, alle tasse e ai disservizi, con annesse invettive. Ma dove viene fuori l’interesse vero delle persone è quando confessano i propri malanni, lamentano dolorini, misteriosi disturbi. In fondo è una derivazione di quella famosa gag napoletana: comme me pesa ‘sta capa, ué. Un tempo c’era il pudore di confessare malattie, si arrivava a simulare salute anche quando c’erano problemi, temendo di fare brutta figura o di suscitare malocchio. Ora siamo nell’epoca del vittimismo universale, ed avviene il contrario: cerchiamo di essere compatiti, scusati, amati perché cagionevoli, chiediamo benevolenza, cerchiamo di destare attenzione e moine.
Fino a qualche anno fa, la parola che metteva fine a ogni disturbo, la diagnosi passepartout per chiudere un discorso tra incompetenti, era una: è lo stress, sei molto stressato, sono molto stressata. I più perfidi accusavano dello stress i partner, i figli, le suocere, il capo ufficio. Ora, invece, la soluzione psicologica con risvolto sociologico non basta più, e su Internet si trova un campionario ricco di malesseri che esalta la fantasia e la “saputeria”. L’atteggiamento prevalente di chi invoca la patente di malato è però la riluttanza: si denuncia il malessere ma si è restii, svogliati o refrattari ai controlli; piace dichiarare il male, non risolverlo ma crogiolarvisi; si ha paura di andare poi dal medico, o perché si teme di scoprire brutti mali o perché si teme di scoprire che non hanno niente, e perdono così lo ius lagnae, il diritto a lamentarsi e lo statuto-alibi di cagionevoli. A volte c’è chi si vanta perfino di trascurarsi, con grave sprezzo del pericolo. Però non rinuncia alla rappresentazione teatrale del suo malessere; quella non può togliergliela nessuno. Lasciatemi godere delle mie sofferenze.
Dietro queste due categorie, il medico autodidatta e il malato autocertificato, si celano due tipi umani assai diffusi, che in fondo vivono in simbiosi mutualistica, come il paguro e l’attinia: quello che rovescia sugli altri i fatti suoi, sfoga e scarica i problemi suoi sugli altri, perché è narcisista, vittimista ed esibizionista patologico; e quello che non si fa mai i fatti suoi ma ama farsi i cavoli altrui, s’intromette, prescrive cosa devi fare, è invadente ed invasivo, ed è anche lui – in fondo – egocentrico patologico. Insieme sono una coppia perfetta, uno completa l’altro, uno soddisfa l’altro e insieme appaga la sua vanità e la sua vena egotica.
Ma i casi in cui combaciano sono statisticamente rari: spesso si incontrano malatini che si rubano a vicenda la scena, o medicuzzi che rivaleggiano sui rimedi, o malatini diffidenti dei medicuzzi e medicuzzi che vedendo i malatini refrattari ai loro consigli, li seppelliscono con una sentenza: se la merita la malattia; se l’è cercata. Amen.