Addio a Mauro Del Corno, la famiglia del Fatto Quotidiano in lutto
Mauro Del Corno non c’è più. Il nostro collega e amico è morto improvvisamente a 53 anni durante una vacanza a Samarcanda con la compagna Valeria e il figlio Alessandro. Giornalista economico sui generis, Mauro era arrivato al Fatto Quotidiano nel 2020 dopo una lunga esperienza a Radio24. Prima a Sono le Venti, l’approfondimento giornalistico di Peter Gomez, poi nella piccola-grande-inaffondabile famiglia de ilfattoquotidiano.it.
In questi cinque anni al Fatto ha scritto di mercati e grande finanza, di petrolio, di Russia, di lavoro e di capitale, sempre lasciando il segno. Il piglio etico, la critica alle distorsioni della finanza e le ingiustizie del capitalismo erano la cifra di ogni sua cronaca. Onnivoro e bonario, riservato quanto pungente, Mauro era allergico all’idea del cronista-macchina. Incarnava al contrario l’idea del giornalista che non crede alla neutralità delle parole e non fa niente per nasconderlo.
Inattesa, ingiusta, improvvisa, la sua morte lascia un senso di vertigine. Alla sua famiglia e ai suoi cari l’abbraccio affettuoso di tutti noi.
IL RICORDO DEI COLLEGHI
Non so davvero da dove cominciare, Mauro. L’incredulità e la tristezza mi annebbiano. Il primo pensiero che affiora è quel tuo modo educato, anzi sornione, di introdurre con me i temi che volevi affrontare. Arrivavi nel mio ufficio, mi agganciavi con una battuta, poi con poche parole e molte pause mi spiegavi perché fosse utile, necessario, urgente, occuparci di quello a cui avevi pensato, a cui ti eri ispirato leggendo giornali esteri e spesso avevi già approfondito. Non ci avevo mai pensato, ma il tuo tratto distintivo erano proprio quelle pause, il tempo di riflessione che ti prendevi e che lasciavi all’interlocutore: una modalità distantissima dalla velocità a cui siamo (o ci sentiamo) costretti normalmente nel nostro lavoro. Tu lo facevi su tutto, perché cinque anni insieme in redazione comprendono tanto confronto, con qualche incursione nella vita personale (e le pause, quando accennavamo all’adolescenza dei nostri figli, diventavano complici). Le tue idee erano radicate, non le nascondevi, ma le declinavi in proposte giornalistiche per evidenziare l’ipocrisia e le contraddizioni del sistema mediatico, finanziario, politico. Non ti tiravi indietro. Sorrido ripensando al tuo saluto, ogni sera, ironico e immutabile: “Boss, io andrei”. Pausa. Ciao, Mauro.
Simone Ceriotti
“Raghashish, ci vediamo domani”. Nella routine sempre uguale di quelle famiglie chiamate redazioni ogni gesto che si ripete diventa un rito. E il saluto di fine giornata di Mauro, quel saluto un po’ cazzone, rito lo era diventato subito, dopo pochi mesi dal suo arrivo. Mauro, così fuori dagli schemi, così diverso, dai ritmi tutti suoi, con quella espressione tra lo svampito e l’annoiato che in realtà serviva a coprire idee ed etica granitiche, molto più delle mie. Quindi capitava di infervorarsi, di litigare perché io sono molto elastico, lui per nulla, almeno su alcuni temi. Aveva ragione lui: su certe cose non possono esserci mezze misure, Mauro me lo ha insegnato con i suoi mugugni e i suoi messaggi su whatsapp. La nostra chat, che fino a ieri era un porto franco contro il politicamente corretto, in cui poter parlare di tutto, senza i filtri del “conviene dire così” che per noi, nati negli anni ’70, non sono mai facili da applicare, mai automatici. Era il nostro nascondiglio, quello in cui gli confessavo che la sera prima gli avevo fregato un tocco di cioccolato fondente, che nel suo cassetto non mancava mai. Ciao amico mio, grazie per avermi insegnato che non va bene tutto.
Pierluigi Giordano Cardone
“Si è svegliato”, diceva. E io sapevo che parlava di Trump. “Porcoddue”, diceva. E stavamo per iniziare a discutere su Gaza. “Sì, vabbé”, diceva. E io capivo che von der Leyen ne aveva sparata un’altra. “Ah, sì?”, diceva. E io: “Sì Mauro, lì non ci va lo spazio”. Mauro lasciava un sacco di vuoti: spazi, doppi spazi, tripli spazi. Metteva il bianco anche tra % e il numero. Credo me lo facesse apposta: perfetta nemesi del redattore nevrotico e ossessionato dalla precisione formale, preferiva un altro tipo di rigore. Morale. Argomentativo. Etico.
Ciao Mauro, che casino di spazi che hai lasciato. Pesco da questi cinque anni. Cazzeggio (tu). Sfuriate (io, tu impassibile). Critica marxista (tu), sciocchezze di Instagram (più tu, ma anche io). Massimi sistemi (io), sarcasmo (tu). Che amarezza per il panorama davanti ai nostri occhi (io). “Vabbè (tu), ma poi facciamo la rivoluzione”.
Fabio Amato
Ciao Maurone, non so nemmeno perché mi sto rivolgendo a te. Dicono faccia bene, un po’ come i funerali: si chiude un cerchio, si permette al dolore di fare il suo corso e di approdare a una sorta di stazione. Che sia il capolinea, non lo so. Non so nemmeno se funzioni; in questo momento non so proprio nulla. Dicono anche che resti una traccia, delle persone che muoiono. Spirituale, materiale. Io ora ti vedo, come ogni giorno, seduto alla tua scrivania di fronte alla mia, ma mi domando se ti vedrò ancora tra un anno, dieci, venti. Intanto mi porto via ciò che abbiamo condiviso: la letteratura, la filosofia, l’indignazione e certi segni del sole sulla pelle. Tengo con me il tuo fermacarte a forma di surf, sono sicuro ti vada bene. Un abbraccio grande come il mondo a te, Valeria e Alessandro.
Alberto Marzocchi
Un libro da consigliare, una notizia di scienza da suggerire, un confronto duro sulla politica estera. E poi quanto mi facevi incazzare quando guardavi le ballerine oppure il mio enorme piatto di pasta e dicevi: “Ma si può?”. Oggi vorrei poter litigare con te su tutto: Gaza, scarpe, carboidrati o Il capitale e invece ho un chiodo nella tempia sinistra da quando ho saputo. Il dolore che ci colpisce è più soffocante perché inatteso. Un abbraccio enorme a chi ti amava e anche quelli con cui litigavi
Giovanna Trinchella
Mauro mi raggiungeva spesso alla mia postazione per spulciare nella mazzetta dei giornali che di solito vengono depositati di fianco al mio PC. E da lì, in pochi secondi, ogni pretesto era buono per iniziare a scherzare sulla notizia del giorno, sugli inserti del lusso che arrivavano in redazione e facevano inevitabilmente sfociare il dibattito nel consueto e sarcastico manifesto anticapitalista. “Mauro che giornale sei venuto a pescare oggi?”. “Ma niente guarda, ormai mi occupo solo di calciomercato”, diceva lui, rivendicando la riscoperta di letture storia antica, di personaggi assurdi, di teorie anacronistiche. Di cui lui parlava, stupendoci, da appassionato. Poi tornava a scrivere di economia, trovando dei tagli originali e inaspettati su notizie che, tendenzialmente, potevano passare inosservate. Non riesco a credere a quello che è successo. Quando vedrò la tua postazione, allora sarò senza parole.
Eleonora Bianchini
Avevo già incrociato Mauro nella mia esperienza al Sole24Ore, per poi ritrovarlo al Fatto Quotidiano quando, cinque anni fa, è approdato in redazione. Mauro aveva lo sguardo aperto, limpido, esattamente come era il suo modo di scrivere. Gentile, schivo e riservato non dimostrava i suoi 53 anni. Mancherà il suo sorriso così come il suo sguardo pulito sul mondo. Che la terra ti sia lieve e dovrà esserlo per forza perché un addio così improvviso e inaspettato ci ha lasciato tutti profondamente sgomenti
Monica Belgeri
Mauro era luce. Un grandissimo giornalista, un esperto rigoroso di economia, un idealista profondo, una persona splendida. La quintessenza della libertà silenziosa che fa rumore.
Era il mio adorato vicino di scrivania, il mio riferimento indiscutibile nei dialoghi reali, su X, su WhatsApp. Era la mia bussola, anche nei momenti leggeri e negli scambi scherzosi
Aveva una forza quieta, quasi erculea, nella dedizione alla causa palestinese. Non mancava mai, con la sua kefiah e la sua bandiera, alle manifestazioni pro Gaza a Milano: ogni santa settimana.
Scriveva, analizzava, spiegava con rigore, ma anche con un cuore traboccante di sensibilità e spessore, sempre dalla parte di chi aveva meno voce.
Era un giornalista pieno, integro, autorevole, di quelli capaci di andare ovunque con intelligenza, passione e una lucidità che non si spegneva mai.
Non si prendeva sul serio. E proprio per questo era serissimo nel suo lavoro, negli ideali, nelle parole.
Da stanotte Mauro ha deciso di andarsene e il dolore che ha lasciato non è solo lutto: è la consapevolezza nuda, devastante e cruda di cosa si è perso davvero. Un faro inestinguibile, che ha segnato in me uno spartiacque imprescindibile e una rotta incontrovertibile.
Mauro adorato, l’ultima volta che ti ho visto, prima che tu partissi per le ferie, ti ho detto che una nostra comune conoscenza – praticamente una celebrità di Radio24, dove hai lavorato per anni – mi aveva confidato che fossi un grandissimo professionista. Hai reagito sminuendo, come facevi sempre, fingendo un cinismo che non avevi. Poi ti ho cazziato in barese, a modo mio: “Meh, chè t’ piasc”.
E tu hai spalancato il tuo sorrisone largo, disarmante, pieno di verità.
Questa è la fotografia di te che resta qui, per sempre.
Ciao Mauro.
Free Palestine always and forever.
“Come back. And scream as you want. And break all the vases. Steal all the flowers. Come back. Just come back.”
(Khaled Juma, poeta palestinese)
Gisella Ruccia
La tua pila di libri. La kefiah. I tuoi tweet graffianti. Il tuo perenne normalizzare le notizie che ci ricordava che il mondo tanto non lo salviamo, al massimo proviamo a raccontarlo bene. I tuoi 30 minuti fissi di pausa: qualcuno vuole qualcosa al supermercato? El pueblo unido a ogni chiamata ricevuta, perché sapevi da che parte stare. Un urlo, una volta, per la tua amata pallanuoto, tu che eri sempre un sussurrare discreto. Ho riaperto la chat: l’ultimo messaggio è una mia risata dopo la tua ennesima battuta scorretta. Questa volta tocca a noi dirtelo, purtroppo: ciao Boss
Andrea Tundo
Tenterò di non essere retorica, lui non lo sopporterebbe. Mauro era una persona autentica, per bene e diretta, talmente diretta da essere fastidiosa a volte, pungente e sarcastica sempre. Sembrava taciturno e invece aveva tanto da dire perché ne sapeva e perché era profondamente interessato alle cose del mondo. Soprattutto quello dei più deboli. Mi mancheranno – tra le altre cose – i suoi sguardi sornioni (chissà quante bottiglie vuote hai lasciato da riportare in negozio vicino alla mia postazione!), i consigli su Torino e la sua ironia disincantata, l’unico rimedio possibile di fronte a questa profonda, tremenda tristezza.
Paola Maola
È davvero difficile crederci. Ciao Mauro, ci mancherai tanto. Mi mancheranno tanto le nostre discussioni sui massimi sistemi e sulle piccole passioni che sorprendentemente ci univano. Mi mancherà la tua voce pacata che distillava sempre qualche punto di vista competente e originale. Ah, ho ancora da leggere un po’ di cose che mi hai consigliato. Lo farò.
Mario Portanova
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