Meloni omette la responabilità fascista sulla strage di Bologna: non ha la dignità politica per stare a Palazzo Chigi
Avevo sperato il contrario, almeno dopo l’ennesima sentenza che dimostra le responsabilità dei fascisti, ultimo dei quali l’assassino Paolo Bellini a lungo protetto – come emerge chiaramente dalle carte processuali – dal senatore del Msi di Novellara ed ex repubblichino Franco Mariani.
Invece no: Giorgia Meloni ha ricordato l’anniversario della strage di Bologna definendola “una delle pagine più buie della storia italiana” e condannando “la ferocia del terrorismo”. Ma, ancora una volta, ha scelto di non pronunciare le parole che contano. Nessun riferimento alla matrice neofascista dell’attentato, nessuna menzione del terrorismo nero, nessun riconoscimento delle responsabilità politiche e culturali che affondano le radici proprio nella storia del suo partito di provenienza. Solo ‘terrorismo’.
Non si tratta di una dimenticanza, ma di una detestabile strategia consapevole. Il silenzio di Meloni sul ruolo dell’estrema destra e di alcuni esponenti del Msi nella stagione della strategia della tensione è un atto politico. È il tentativo di neutralizzare la verità storica per preservare un’identità, quella della destra post-missina, che non ha mai compiuto una reale cesura con il proprio passato. Omettere la parola “fascismo” non è un atto di prudenza, ma di complicità politica nei confronti di un ambiente che per anni ha rilanciato il depistaggio della ‘pista palestinese’, ovviamente falsa. Meloni, di fatto, prende le distanza dalle risultanze di decenni di processi, indagini parlamentari, sentenze definitive.
I responsabili della strage di Bologna erano militanti neofascisti, alcuni legati in anni precedenti al Movimento Sociale Italiano (il seantore Mariani protettore di Bellini) altri in contatto con logge eversive come la P2. Figure come Mario Tedeschi, ex senatore Msi e sodale di Licio Gelli e di Federico Umberto DìAmato, prima di passare agli scissionisti di Democrazia Nazionale, incarnano un’area grigia tra politica, intelligence deviata e violenza stragista che ha attraversato la storia repubblicana. Negare questo intreccio equivale a negare una parte fondamentale della nostra memoria democratica.
Chi guida il governo della Repubblica ha il dovere non solo di commemorare, ma di chiamare per nome la verità, di riconoscere le responsabilità, di spezzare l’ambiguità. Giorgia Meloni, rifiutando ancora una volta di farlo, dimostra di non avere la dignità politica di rappresentare pienamente tutti gli italiani, né di rendere giustizia a chi è morto per mano di un terrorismo che aveva un volto preciso.
La memoria non è un esercizio retorico, ma un impegno civile e politico. Non basta dichiararsi contro ogni forma di violenza: serve il coraggio di prendere posizione contro coloro che quella violenza l’hanno ispirata e praticata. La mancata assunzione di responsabilità da parte di chi oggi siede a Palazzo Chigi non è solo una rimozione: è una ferita aperta nella coscienza democratica del Paese.
Il testo della presidenza del Consiglio
Il 2 agosto di 45 anni fa il popolo italiano ha vissuto una delle pagine più buie della sua storia. Il terrorismo ha colpito con tutta la sua ferocia la città di Bologna, con un attentato che ha disintegrato la stazione, uccidendo 85 persone e ferendone oltre duecento.
Oggi ci stringiamo ai familiari delle vittime e a tutti i bolognesi, e ci uniamo al loro dolore e alla loro richiesta di giustizia. Il Governo continuerà a fare la sua parte in questo percorso per arrivare alla piena verità sulle stragi che hanno sconvolto la Nazione nel secondo Dopoguerra, a partire dall’impegno portato avanti insieme alle altre Amministrazioni competenti per il versamento degli atti declassificati all’Archivio centrale dello Stato, in un clima di collaborazione con le associazioni dei famigliari delle vittime.
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