Fisico in Germania. “Qui il post doc pagato 3mila euro, non 1500. Siamo in fuga dalla precarietà dell’Italia”
Quando Alvise era un bambino, suo nonno Guido Pizzella era già uno dei padri fondatori della ricerca sulle onde gravitazionali in Italia. Quando Alvise era adolescente, suo padre Alessandro era professore al dipartimento di fisica ed astronomia dell’Università di Padova. Ora che è adulto, Alvise può dire di aver seguito le orme dei suoi parenti. Ma all’estero. “Dopo la laurea in Fisica ho provato a fare il dottorato in Italia”, racconta a Ilfattoquotidiano.it. Padova, Roma, Trento, Trieste, Pisa. Ogni volta un “no” o un “quasi”: ti prendiamo, ma senza borsa. Poi, la domanda all’istituto Max Planck per la fisica gravitazionale di Hannover, in Germania. E un posto per lui nel giro di poche ore.
Alvise abita lì da ormai sei anni. In quella città che l’ha accolto e gli ha permesso di trovare una stabilità economica, ha potuto fare il dottorato sulla stessa materia del nonno Guido. Proprio come sognava da bambino. Ha collaborato al progetto internazionale Lisa, una missione dell’Agenzia Spaziale Europea che mira a misurare le onde gravitazionali nello spazio. “All’estero la ricerca accademica è considerata un lavoro, in Italia è ancora trattato come un periodo di studio”, spiega. Con ciò che ne consegue a livello di retribuzione, tasse e contributi previdenziali. “Sei anni fa mi offrirono la posizione poche ore dopo il colloquio. Un posto sicuro, finalmente, ma così lontano. Chiamai mio nonno, non sapevo cosa fare. Fu lui a dirmi di accettare, e così oggi sono qui”.
La missione Lisa sfrutta l’interferometria laser tra satelliti posizionati a distanza di milioni di chilometri. Si tratta di una tecnica che usa fasci di luce per rilevare variazioni infinitesimali di distanza. La precisione delle sue misure è influenzata dai disallineamenti che inevitabilmente si verificano sull’apparato. Alvise studia come misurare questi disallineamenti, così che possano essere sottratti. Collabora con un team interdisciplinare distribuito tra Europa e Stati Uniti, e spera di continuare a farlo in futuro. “Il nostro obiettivo è anticipare e interpretare quello che succederà nello spazio, decenni prima del lancio. Il satellite, una volta lanciato, dev’essere perfetto, perché non potremo più modificarlo”.
A non funzionare in Italia, secondo lo studioso, è il sistema di selezione: “Ci sono pochi posti di dottorato – sottolinea – rispetto al numero di studenti che vogliono intraprendere questa carriera. Questo crea una situazione competitiva sfavorevole”. Non solo: “Manca una programmazione nell’assegnazione dei posti, con assunzioni a volte non ben definite. Sarebbe meglio inserire i ricercatori in progetti già esistenti e strutturati, proprio come avviene in Germania”. Lì, racconta, chi assume i dottorandi ha totale libertà sulla scelta: “È un punto di forza, non un problema. In Italia le leggi non lo permettono ufficialmente, ma avviene la stessa cosa, solo che viene fatto tramite oscuri magheggi”.
Per questo anche ora che il suo lavoro è finito, e si sta guardando intorno per il post doc, Alvise non pensa di tornare: “La differenza salariale mi scoraggia. Guadagnerei circa 1400-1700 euro netti al mese, mentre in Germania siamo oltre i 3000. In più ormai ho qui la famiglia, e forse, se fossi rimasto a Padova, non mi sarei nemmeno potuto permettere di formarne una”. Le prospettive, infatti, sono poche: “Io ho svolto la mia tesi di laurea con il gruppo Virgo di Padova: anche i loro ultimi 5 studenti di magistrale e una dottoranda ora lavorano tutti qui, probabilmente proprio perché non hanno avuto ulteriori possibilità lì”.
Così la ricerca accademica in Europa rischia di procedere a due velocità. Alla base, una diversa considerazione della sua importanza economica: “È una fonte di guadagno per la società, ma da noi sembra che questo non venga considerato o compreso. Molti dottorandi che si trasferiscono all’estero poi aprono aziende nel privato, e importano altri cervelli, che rimangono”. Per lo studioso, la soluzione dev’essere strutturale: “Si dovrebbe attivare un sistema che coinvolga l’industria, che produca apparecchiature utilizzate nella ricerca, creando così una domanda interna”. L’obiettivo? “Creare un tessuto sociale che la renda uno dei tasselli fondamentali dell’economia”.
Del resto l’Italia è uno dei paesi europei che investe meno in questo campo, riservando all’università solo l’1,5 per cento della spesa pubblica, contro il 2,6 della Germania. Le ultime leggi di bilancio del governo, inoltre, hanno tagliato il fondo di finanziamento ordinario delle università di cinquecento milioni di euro nel 2024 e di settecento milioni nel triennio 2025-2027. L’accademia, insomma, viene lasciata indietro. E con lei gli studiosi: “L’università italiana forma molti studenti di fisica appassionati, forse persino più preparati che in Germania. Ma la precarietà del sistema non permette loro di farsi strada, e tanti, come me, fuggono”.
Eppure la nostalgia per il suo Paese è forte. Gli mancano gli amici di una vita, la famiglia d’origine, la sua vecchia squadra di pallacanestro. Rimpiange il sole invernale. E persino i supermercati. Hannover è una città piccola e molto vivibile, ma che non amerà mai quanto Padova: “Qui la funzionalità viene prima della bellezza. Mia moglie è tedesca e spera di trasferirsi in Italia prima o poi, ma credo che per un po’ rimarrà delusa. Tornerei solo per un ruolo da professore. Nel frattempo, aspetto che il clima qui diventi più mediterraneo, così sentirò meno la mancanza. Per quanto riguarda il cibo, invece, bisogna adattarsi”. Intanto, a pallacanestro, può giocare anche in Germania.
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