Alzheimer: una nuova medicina rallenta la malattia
Un’ottima notizia nella lotta contro l’Alzheimer. L’anticorpo monoclonale donanemab è stato finalmente approvato da EMA -l’Agenzia Europea del farmaco- e ora può essere utilizzato anche in Europa per trattare la malattia nella sua fase iniziale. Dopo un primo parere negativo, formulato perché l’ente riteneva che i benefici dell’uso non superassero i rischi di incorrere in effetti collaterali riscontrati nell’uso del farmaco, ora arriva l’autorizzazione, tanto attesa dai neurologi europei. Nel resto del mondo, infatti, l’anticorpo monoclonale –nome commerciale Kisunla– prodotto dall’americana Eli Lilly è già impiegato da tempo e ha mostrato ottimi risultati. Donanemab si somministra una volta al mese, per endovena, e va ad affiancarsi a un altro anticorpo monoclonale che in Italia è già stato approvato da metà novembre 2024, il lecanemab (nome commerciale Leqembi), che invece si somministra ogni due settimane, sempre per via endovenosa.
“Siamo di fronte a un momento di svolta: anche in Europa, viene riconosciuta e autorizzata una ulteriore terapia in grado di modificare il decorso della malattia di Alzheimer, rallentando la progressione clinica nei pazienti con accumulo documentato di beta-amiloide”, ha dichiarato il Prof. Alessandro Padovani, Presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN). La disponibilità di una terapia che rallenta il decorso della malattia impone ora un ripensamento profondo del modello assistenziale italiano. “Affinché questa opportunità terapeutica non resti riservata a pochi, è necessario agire rapidamente su tre fronti: rafforzare la rete della diagnosi precoce, garantire un accesso omogeneo ai biomarcatori (inclusi quelli plasmatici, oggi sempre più affidabili) e formare i professionisti alla gestione di trattamenti complessi in sicurezza”, ha aggiunto il Prof. Marco Bozzali, Presidente della Società Italiana per le Demenze (SINDEM). Occorre adesso lavorare affinché l’italia non rimanga indietro, perché- come avvisano da SIN- occorrono investimenti sia nella ricerca traslazionale che nella sperimentazione clinica su scala nazionale, dato che esistono anche nuove molecole già in fase di sviluppo.
E’ bene sottolineare che sia donanemab che lecanemab vengono utilizzati sui pazienti in fase precoce di malattia di Alzheimer: per quelli in fase avanzata, infatti, non è utile clinicamente. Occorre inoltre che chi si sottopone a queste cure non sia portatore di una particolare variante genetica che favorisce i micro-sanguinamenti e gli edemi e che non assuma anticoagulanti. Questi anticorpi monoclonali agiscono infatti legandosi alla proteina beta.amiloide, ossia uno dei fattori tossici che causano la malattia, rimuovendola dal cervello attraverso il torrente ematico. Per questo motivo potrebbero creare danni alle pareti dei vasi sanguigni e provocare eventi emorragici. Entrambi riescono a rallentare lo sviluppo della demenza di diversi mesi: ricordiamo però che al momento non esistono trattamenti che fermino del tutto o invertano l’evoluzione della malattia. Nessuno dei due quindi rappresenta la definitiva soluzione contro l’Alzheimer, ma la scienza insegna che da una piccola breccia nel muro si può generare un effetto a cascata. E’ quello che, oggi, spera tutta la comunità scientifica: e assieme ad essa tutti i malati e i loro congiunti, provati da una malattia terribile.