Referendum sui giudici: il Pd verso l’ennesimo flop
Ma davvero l’Associazione nazionale magistrati e il Pd pensano di fare insieme una battaglia contro la riforma della giustizia varata dal ministro Carlo Nordio? Non so se sia vera l’ipotesi affacciata dalle pagine del Corriere della Sera di uno scambio tra il sindacato delle toghe e il partito di Elly Schlein in vista di un possibile referendum confermativo.
Secondo il quotidiano, squassato dalle inchieste giudiziarie che vedono coinvolti alcuni suoi più importanti esponenti a Milano, Torino, Prato e nelle Marche, il Pd per bocca di Dario Franceschini, ex segretario e importante capo corrente, avrebbe offerto un baratto. Ovvero un appoggio contro la legge che separa le carriere dei magistrati in cambio di un occhio di riguardo sulle inchieste che vedono coinvolti gli esponenti della sinistra.
Ripeto: non so quanto fondamento abbia la presunta intesa. Tuttavia, ho ben presente i risultati che nel passato hanno ottenuto i referendum con al centro il tema della giustizia. Il più importante credo sia quello che risale all’inizio di novembre di quasi quarant’anni fa. Nel 1987, i radicali insieme a socialisti e liberali proposero di abolire le norme che limitavano la responsabilità civile per i giudici. Fu quasi un plebiscito, con più dell’80 per cento di sì. Certo, quella era una stagione in cui la partecipazione popolare ai referendum era al massimo (all’epoca superò il 65 per cento degli aventi diritto al voto). Da allora molte cose sono cambiate, a cominciare dalla sensibilità degli elettori verso lo strumento della consultazione popolare, che, usato come mezzo per correggere le maggioranze parlamentari, ha allontanato l’interesse degli elettori. Tuttavia, anche se si guarda ai quesiti che non hanno superato il quorum (necessario in caso di abrogazione e non per i referendum confermativi), si capisce piuttosto bene qual è l’orientamento degli italiani in materia di giustizia. Nel 1997, sempre i radicali chiesero agli italiani se volessero abolire il sistema di progressione delle carriere dei magistrati. Il referendum, che si svolse a metà giugno proponendo la cancellazione di molte altre norme, non raggiunse il quorum, fermandosi al 30 per cento dei votanti, ma il quesito sui giudici ottenne l’83,6 per cento di sì, a cui si aggiunse l’85,6 per cento alla domanda sul divieto degli incarichi extragiudiziali delle toghe. Tre anni dopo, ancora i radicali, insieme con i socialisti, provarono a modificare con la volontà popolare sia i meccanismi di elezione del Csm, riproducendo la domanda sugli incarichi extragiudiziali e proponendo la separazione delle carriere tra pm e giudici. Anche questo referendum non raggiunse il quorum, ma i tre quesiti ottennero una percentuale di sì che oscillava fra il 69 e il 75 per cento. Il tema della separazione delle carriere fra magistratura inquirente e giudicante è stato riproposto tre anni fa, ma anche in questo caso il voto non ha superato il 50 per cento degli aventi diritto e dunque è stato giudicato nullo. Tuttavia, il 73,3 per cento dei votanti si dichiarò favorevole, così come ottenne la maggioranza di consensi l’idea di consentire ai membri laici del Csm di valutare l’operato dei magistrati nei consigli giudiziari.
Insomma, ogni volta che si è presentata l’occasione, una maggioranza schiacciante dei votanti ha detto sì a un giro di vite nei confronti dei magistrati. I quali, sia detto per inciso, non godono fra l’opinione pubblica di grande considerazione, in particolare quando sembrano opporsi a qualsiasi norma per evitare che l’Italia sia invasa dai migranti, come spesso accade negli ultimi tempi. Dunque, considerando tutto ciò e, soprattutto, che per i referendum confermativi a differenza di quelli abrogativi non serve il raggiungimento del quorum, l’idea che l’unione tra toghe e Pd basti a sabotare la riforma Nordio mi pare peregrina. Fossi in Schlein e compagni, valuterei con attenzione l’idea e prima di dire di sì mi farei il segno della croce. A oltre trent’anni da Mani pulite, perdere la battaglia della giustizia, per la leader del Partito democratico equivarrebbe alla fine delle sue ambizioni politiche.