Cosa significa il ritorno di Galliani al Milan
Il possibile ritorno di Adriano Galliani al Milan, otto anni dopo l’addio con la cessione del club da Fininvest all’uomo d’affari cinese Yonghong Li, apre a molti scenari e a qualche considerazione. Che RedBird e il Milan stiano dialogando da settimane con il plenipotenziario dell’era Berlusconi, architetto di un ciclo senza eguali nella storia del calcio mondiale, non è ormai un mistero e non è nemmeno la prima volta. Prima, però, Galliani era legato al Monza e alla difficile transizione tra il recente (glorioso) presente e un futuro ancora tutto da scrivere.
Ora che il closing della società brianzola è diventato una questione tecnica, Galliani può davvero pensare a cosa fare… da grande. Che significa, visto che la chiamata è arrivata dalla proprietà del Milan attuale, immaginare un ritorno che sarebbe romantico oltre che clamoroso. Lui, l’uomo che del Milan è stato amministratore delegato dal 1986 al 2017, braccio destro e sinistro di Silvio Berlusconi, mettendo la sua firma sulla conquista di 29 trofei tra cui 5 Coppe dei Campioni e Champions League, 3 Intercontinentali e 8 scudetti.
I migliori anni della vita, sua e dei tifosi di un club preso da Berlusconi con i libri in tribunale e riportato in cima all’Italia, all’Europa e al Mondo. Poi l’addio, il rientro nel calcio con il Monza di cui da sempre è tifoso, la gioia della storica prima volta in Serie A e, dopo la morte di Berlusconi, il nuovo e definitivo distacco. A 81 compiuti Galliani può tornare, però, per l’ultimo è più affascinante giro di giostra: il Milan.
Milan, cosa significa il ritorno di Galliani (e quale ruolo può avere)
I bene informati raccontano che per lui sarebbe pronto un ruolo operativo e tutt’altro che di immagine. Non quello che fu, oggi nell’ufficio di amministratore delegato siede Giorgio Furlani che diretta emanazione della proprietà, ma qualcosa che possa mettere a disposizione del Milan l’immensa esperienza e riconoscibilità di un dirigente che ha attraversato gli ultimi quarant’anni di calcio italiano e internazionale. Lui che è stato inserito nella Hall of Fame del football del Belpaese e che nella sua lunghissima carriera è stato anche ai vertici della Lega Serie A oltre che mille altre cose.
Una sorta di referente dell’area sportiva del Milan, dove ci sono Igli Tare, recentemente chiamato da Cardinale per occuparsi del mercato, Geoofrey Moncada direttore tecnico e scout e Massimiliano Allegri tecnico voluto fortemente per cancellare il disastroso esito dell’ultima stagione.
Serve? Aggiungendosi allo stesso Furlani, al presidente Paolo Scaroni e a Zlatan Ibrahimovic che di RedBird è partner (stipendiato) con delega sul MIan evidentemente sì. La valutazione è stata fatta da Cardinale e dalla proprietà e porta ad alcune riflessioni. La prima è che il club si deve essere accorto di aver assoluto bisogno di una guida che sia capace di fare sintesi tra le esigenze delle diverse aree, conoscendone le necessità, così da rendere armonico il lavoro di programmazione e quello quotidiano, pur rispettando i ruoli di Furlani, Tare ed Allegri.
Difficile immaginare Galliani vecchio stile anche in considerazione delle 81 primavere che, per quanto tenute benissimo, sono una realtà con la quale è obbligatorio fare conto. Rivolerlo, però, a Casa Milan significa che il processo di riconoscimento degli errori commessi negli ultimi mesi non è per nulla concluso. Per fare calcio servono uomini di calcio. Punto. Lezione mandata a memoria dalle parti di Casa Milan dopo tentativi alternativi.
Secondo tema: il Milan ha perso peso e centralità nella politica sportiva e calcistica italiana. Per una società che si era abituata a essere locomotiva e non vagone, una condizione inaccettabile. E’ facile pensare che l’esperienza di Galliani possa servire anche e soprattutto qui, nelle noiose giornate trascorse in via Rosellini in Lega Serie A dove è importante contare, oltre che esserci.
Terza riflessione: Galliani ha imparato in un trentennio con Berlusconi l’arte della diplomazia e del sapersi far ascoltare non necessariamente imponendosi. In un club che continua ad apparire attraversato da diverse anime, non è una dote da poco. Chi ha convissuto con SB per tre decenni può farcela con Furlani e Cardinale, questa è la sfida. E’ chiaro che un ruolo solo di immagine o politico sarebbe come aver ingaggiato un top player in attacco per poi costringerlo a giocare a centrocampo: soldi e tempo buttati via.
L’altra faccia della medaglia è che il Milan si avvia a diventare la società italiana con l’organigramma – diretto o indiretto – più ricco e complesso. Dal proprietario, Gerry Cardinale, fino ad arrivare al tecnico Massimiliano Allegri si contano sette nomi con sette ruoli che diventerebbero otto aggiungendo Galliani. Più o meno il doppio di Inter (Oaktree-M;arotta-Ausilio-Chivu), Napoli (De Laurentiis-Chiavelli-Manna-Conte) o Atalanta (Percassi e Pagliuca-D’Amico-Juric).
Solo la nuova Juventus dell’ennesimo Anno Uno (Elkann-Ferrero-Scanavino-Comolli-Modesto-Chiellini-Tudor) è comparabile e non necessariamente è una buona notizia, essendo anche i bianconeri nel mezzo di un travaglio senza fine. Insomma, da troppo pochi e improvvisati dopo la cacciata di Maldini e Massara, a troppi e basta: il rischio è concreto ed è forse anche l’unica considerazione che terrà aperto fino alla fine il dossier del ritorno di Galliani a Casa Milan.