“Sonnifero, insulina e un cuscino perché non riuscivamo a finirlo”, il racconto della madre di Alessandro Venier
Continuano a emergere dettagli sulla morte di Alessandro Venier, il 35enne ucciso e sezionato dalla madre e dalla compagna a Gemona del Friuli, provincia di Udine, lo scorso 25 luglio. Le novità emergono sempre dalla confessione della madre dell’uomo, Lorena Venier, infermiera di 61 anni che già ieri aveva raccontato quale fosse il piano iniziale, attendere che il corpo si consumasse per poi abbandonarne i resti in montagna.
Ora, nel corso dell’udienza di convalida davanti al giudice per le indagini preliminari, un nuovo elemento, la durata dell’omicidio. “Lo abbiamo stordito con un sonnifero attorno alle 17.30, ma è morto solo verso le 23, perché non riuscivamo a finirlo“, avrebbe detto la donna. “Ho svuotato un intero blister di medicinali nella limonata, ma non è stato sufficiente. A quel punto, gli ho fatto due iniezioni di insulina“, ha continuato, aggiungendo che il farmaco contro l’iperglicemia era in casa da circa cinque anni, da quando la donna aveva prelevato dal luogo dove lavorava alcune siringhe perché aveva “deciso di utilizzarle per uccidermi”, avrebbe spiegato agli inquirenti. “Una volta che anche l’insulina ha fatto effetto – ha aggiunto – Abbiamo provato a soffocarlo con un cuscino, ma Alessandro continuava a reagire, anche se era privo di forze”.
Un omicidio durato diverse ore che “non prevedeva di sezionarlo”. Secondo la confessione della donna, infatti, la scelta di fare a pezzi il corpo sarebbe arrivata dopo, quando lei e la nuora avrebbero “capito che il corpo non ci stava nel bidone in cui avrebbe dovuto decomporsi”. Così era giunta alla decisione di sezionarlo in tre parti, azione di cui si è assunta la responsabilità la donna, mentre la compagna della vittima, la 30enne Mailyn Castro Monsalvo, lo avrebbe “trasportato nell’autorimessa e coperto di calce”. E sempre parlando della nuora Venier avrebbe aggiunto: “Mailyn mi chiedeva di uccidere mio figlio Alessandro da mesi, fin dal giorno della nascita della loro bambina, a gennaio”, indicando che la donna.
“Mailyn veniva picchiata con violenza, insultata e più volte minacciata di morte: mio figlio minimizzava la sua depressione post partum, quando ho deciso di denunciarlo, mi ha tirato un pugno alla schiena”. Un piano premeditato con cura, da mettere in atto approfittando della partenza dell’uomo per il Sud America, prossimo all’espatrio prima dell’esecutività di una condanna per lesioni personali gravi, avvenuta in un contesto extra famigliare. E Venier, a differenza di quanto si pensava, sarebbe partito da solo. Madre e compagna, quindi, avrebbero sfruttato l’allontanamento, noto alle persone vicine alla famiglia, per non dover fornire spiegazioni sulla scomparsa dell’uomo. Poi, ha concluso la donna, “Una volta ucciso Alessandro e calmate le acque, Mailyn sarebbe tornata in Colombia, dalla sua famiglia, con la bimba. Io sarei volata a trovarle appena andata in pensione”. E quando la piccola avrebbe chiesto del padre? “Avremmo raccontato solo cose belle del papà, lo avremmo descritto in buona luce, tenendo per sempre nascosta la verità della violenza che abbiamo subito.”.
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