“Non serve imparare l’inglese. Serve padroneggiare meglio l’italiano e ritornare a studiare tutti latino.” – Giovanni Giamminola
Con l’AI che traduce tutto in tempo reale, la nuova alfabetizzazione è semantica: chi padroneggia la propria lingua, governa le macchine.
In un mondo in cui ogni studente si affanna a migliorare il proprio inglese, Giovanni Giamminola lancia una provocazione che sembra un trauma per le orecchie degli accademici: “La lingua del futuro non è quella straniera. È la propria.”
Un’affermazione che, a prima vista, pare fuori tempo massimo. Ma è proprio lì che si gioca il paradosso: l’intelligenza artificiale sta rendendo inefficace la comprensione linguistica superficiale, restituendo centralità alla capacità di pensare con precisione.
La scena è questa: un paio di auricolari traducono simultaneamente ogni lingua del mondo. I ragazzi del liceo capiscono il giapponese senza aprire un dizionario. Il manager d’azienda partecipa a riunioni in tedesco senza parlare tedesco. Il futuro è qui. Ma, proprio per questo, è già vecchio.
“Il punto non è capire l’altro. È saper formulare bene ciò che pensi,” spiega Giamminola. “Per dialogare con le AI, serve padronanza semantica. La tua lingua diventa la tua interfaccia.”
Tutto ciò è destabilizzante. Ma è proprio qui che comincia la nuova partita.
Giamminola non è uno qualunque. Laureato alla Cattolica di Milano, con studi ad Harvard e venticinque anni da CEO tra Europa e Nord America, è stato uno dei primi in Italia a parlare di marketplace digitali nel 2001, quando in Amazon si parlava ancora esclusivamente in inglese. Oggi è advisor in ambito AI e autore del saggio . Ma la sua vera ossessione è la trasformazione cognitiva.
“Non è una questione tecnologica,” insiste. “È una questione semantica e grammaticale.”
Il cuore della sua teoria ruota attorno a una discontinuità culturale: se l’AI scrive, legge, traduce, allora il valore si sposta da cosa si dice a come si pensa. Non serve più conoscere tante lingue (lui stesso parla fluentemente inglese, francese e tedesco), ma allenare la chiarezza, la logica, la precisione semantica. È il trionfo dell’italiano non come idioma, ma come disciplina mentale.
“Chi scrive male, pensa male. E chi pensa male, guiderà male le macchine,” sintetizza. Ed è qui che l’AI si fa crudele. Perché, come gli scacchi con Kasparov, non perdona le ambiguità.
La provocazione si amplifica se osserviamo gli effetti pratici. Le scuole si affannano a insegnare coding e inglese tecnico. Ma Giamminola ribalta la logica formativa: la vera skill da sviluppare è la maestria linguistica nella propria lingua madre, rimettendo latino e greco antico al centro del percorso linguistico. Non per comunicare con altri esseri umani. Ma per educare correttamente le AI che ci assisteranno.
C’è una parola che ritorna nel suo lessico: interfaccia. L’essere umano diventa il prompt, il programmatore inconsapevole, il demiurgo verbale di sistemi che non capiscono, ma eseguono.
La frattura concettuale arriva a metà strada: le AI non pensano. Semplicemente obbediscono alla forma del tuo pensiero. Se confondi una subordinata, confonderai un intero flusso operativo. Se sbagli lessico, sbagli processo. Se non distingui un’esortazione da un’ipotesi, l’agente digitale farà l’opposto di ciò che volevi.
E allora sì, la grammatica diventa politica. La sintassi diventa strategia. La punteggiatura diventa potere.
Cosa c’entra tutto questo con le aziende? Tutto.
Per Giamminola, il futuro manageriale sarà “lessicale”: comanderà chi saprà formulare comandi. Il manager potenziato non è chi conosce le architetture tecniche dell’ AI, ma chi è in grado di farsi comprendere da loro, in modo inequivocabile.
Ed è per questo che la sua tesi, all’apparenza retrò, è in realtà spaventosamente moderna: più le AI diventano complesse, più l’essere umano deve semplificarsi. Non nel pensiero, ma nell’espressione.
A chi lo accusa di disfattismo verso la globalizzazione linguistica, risponde con l’esperienza di chi è stato a tavoli internazionali di trattativa in inglese, francese o tedesco: anche dominando bene la lingua il più forte è sempre chi parla la propria lingua madre. Ecco perchè nonostante l’amore per le lingue straniere, che Giamminola stesso coltiva da sempre, sarà inevitabile che si ricerchi un equilibrio, ponendo tutti sullo stesso piano grazie alla traduzione istantanea dell’AI. A quel punto saremo tutti ad armi pari e non ostaggio della lingua inglese o straniera, chi vincerà sarà la dialettica più lucida.
E allora no, non serve che tuo figlio studi cinque lingue. Serve che impari a scrivere una frase che regga il peso della verità. Perché, come Giamminola ama ricordare, le AI non interpreteranno le tue intenzioni. Interpreteranno le tue parole.
Scopri il libro di Giovanni Giamminola: Il Manager Potenziato –
L'articolo “Non serve imparare l’inglese. Serve padroneggiare meglio l’italiano e ritornare a studiare tutti latino.” – Giovanni Giamminola proviene da Nuova Società.