Zelensky e la legge salva-corrotti: il trionfo dei suoi amici oligarchi
Bisognerebbe guardare all’Ucraina con gli occhi dello storico Polìbio e ricordarsi che la democrazia può corrompendosi scivolare verso l’oclocrazia (il predominio politico delle masse), quando di fronte alla confusione – lo stato di guerra è caos – e alla corruzione s’invocano soluzioni populiste.
Ursula von der Leyen, che vede spie russe da ogni parte – le ha evocate in Romania tanto da far annullare le elezioni, le ha immaginate per la mozione di sfiducia contro di lei – ha accusato Vladimir Putin di fronte alle massicce proteste di due settimane fa in Ucraina, piuttosto che interrogarsi sui torti che l’Unione europea ha nel progressivo deterioramento della tenuta democratica a Kiev e nella corruzione dilagante.
Le lancette dell’orologio sono tornate indietro di 11 anni a piazza Maidan: per la prima volta da quando Volodymyr Zelensky – era il 2019 – è diventato presidente della Repubblica si è trovato di fronte a una massiccia contestazione che da Kiev si è allargata a Dnipro, Leopoli e Odessa. In mezzo alla folla che protestava contro Zelensky, reo di aver varato una legge – ora ritirata, ma il vulnus nel rapporto fiduciario col popolo è rimato evidentissimo – che limita i poteri dell’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) e della Procura specializzata anticorruzione (Sapo) c’erano i neonazisti del 2014.
Zelensky, fiaccato da tre anni di guerra e dalle vane promesse fatte al popolo, ha imboccato la strada che dalla democrazia porta all’oligarchia. La legge che aveva varato era un duro colpo alla legalità: ha deciso che gli organi che devono contrastare la corruzione vengono posti sotto il procuratore generale, nominato direttamente dal presidente.
Insomma Zelensky aveva avocato a sé decidere se e quali episodi di corruzione debbono essere perseguiti. Il suggeritore di questa scelta è Andrij Jermak, socio in affari della prima ora di Zelensky, colui il quale ha creato il personaggio televisivo Servitore del popolo (è diventata poi la sigla del partito presidenziale) che ha traghettato Volodymyr dal palcoscenico a Palazzo Mariinskij, la residenza presidenziale. Jermak è in questo momento il vero uomo di potere a Kiev: ufficialmente è il capo dell’ufficio del Presidente, da vent’anni amico intimo di Zelensky, ma oggi è il primo referente degli oligarchi ucraini che, stanchi di guerra e dell’esilio a cui sono stati costretti, vogliono tornare a comandare.
Per primo Ihor Kolomoisky, banchiere proprietario della rete televisiva che mandava in onda la serie Servitore del popolo, di origine ebraica come Zelensky e presidente del Parlamento ebraico europeo. Kolomoisky, nei giorni caldi del 2014, quando ribolliva piazza Maidan trasformata poi in Euromaidan perché il popolo voleva l’ingresso dell’Ucraina in Europa, era governatore dell’Oblast di Dnipropetrovs’k che confina con le regioni russofone.
Gli oligarchi hanno chiesto a Jermak di farli rientrare al potere. Da qui la decisione di Zelensky di mettere il bavaglio a Semen Kryvonos, il capo del Nabu diventato troppo indipendente. Da mesi Jermak sta facendo una guerra sotterranea agli inquirenti anticorruzione.
Prima ha licenziato Maryna Bezrukova, segretaria dell’Agenzia per gli appalti della Difesa, poi ha fatto nominare Ruslan Kravchenko – un suo fedelissimo – quale procuratore generale e, infine, ha proposto le leggi che mettono tutte le indagini di corruzione sotto il controllo di Kravchenko.
La decapitazione dell’apparato anti-corruzione era iniziata col licenziamento del procuratore anti-frode Artem Sytnyk. Ora la strada per il ritorno al potere degli oligarchi è spianata. Erano scappati subito dopo l’invasione russa i vari Igor Abramovich (gas, edilizia, finanza) che si era rifugiato a Vienna; Rinat Akhmetov (gli viene accreditato un patrimonio da oltre 80 miliardi, è il re dell’acciaio) che ha stabilito il nuovo quartiere generale a Zurigo da dove però continua a tessere la tela del potere a Kiev; Vadym Novyns’kyj (metallurgia, agricoltura, finanza, petrolio) che si è comprato mezza Monaco di Baviera; Viktor Pinchuk (un altro dei big dell’acciaio) che sverna in Costa Azzurra.
Il ritorno dei signori di denari potrebbe segnare anche un’imminente svolta politica. Non è un caso che Viktor Yanukovich, già presidente ucraino filorusso, si sia fatto rivedere in giro forte dell’accordo con Akhmetov. Dopo piazza Maidan, Akhmetov sconfessò Yanukovich che aveva rifiutato l’accordo di partenariato con l’Ue per confermarsi “alleato” di Putin.
Ora però le cose sembrano cambiate, la Metinvest di Akhmetov ha allargato i suoi affari in Europa – si è comprata le acciaierie di Piombino, aveva fatto anche un’offerta per l’ex Ilva di Taranto – e secondo alcuni osservatori ha intenzione di stabilire un nuovo ordine politico a Kiev. Ma per farlo ha bisogno del salvacondotto sul passato. Così è cominciato il lavoro di smantellamento dei controlli sulla corruzione. Nel silenzio più assoluto dell’Ue.
Comme d’habitude la baronessa Von der Leyen ha cercato di tacere la lenta trasformazione che il potere di Zelensky sta subendo e ha rincarato le sanzioni alla Russia, ha esortato l’Ue a sostenere con ancora maggior forza l’Ucraina, ha scritto nel bilancio 2027-2034 dell’Unione – quello che sta facendo infuriare gli agricoltori e trova l’opposizione di quasi tutti i 27 dei Paesi del Consiglio europeo – che servono almeno cento miliardi di assistenza per Kiev. E questo nonostante Zelensky abbia varato la sua riforma salvacorrotti.
Non è un caso che fatte quelle norme abbia cercato un immediato abboccamento con Vladimir Putin. Non più tardi di una settimana fa – nonostante l’ennesimo fallimento delle trattative a Istanbul – Zelensky ha detto che sono avviati «i colloqui per un possibile incontro con Putin». Dall’Ue è arrivato un reclamo pacato e così il presidente ucraino ha modificato parzialmente la legge salvacorrotti, ma per gli oligarchi e per i generali restano ampie garanzie. Le proteste di piazza sono scaturite da due evidenti disagi: gli ucraini sono allo stremo e non si fidano più delle promesse di Zelensky, ma soprattutto sanno che c’è un tasso altissimo di diserzione. Il presidente vuole al fronte i diciottenni, ma tanto Semen Kryvonos quanto la Sapo stanno indagando su 60 mila casi di diserzione favoriti dalla corruzione.
Stando così le cose continuare a promettere come hanno fatto tanto Von der Leyen che Kaja Kallas, l’alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, che l’Ucraina sarà parte a breve dell’Europa è nascondere la verità. Che sta in un rapporto redatto nel 2021 – con Zelensky già presidente – dalla Corte di Giustizia europea. Nel corposo dossier e nelle conclusioni è scritto: «Sebbene l’Ue abbia sostenuto le riforme per combattere la corruzione, essa rimane un problema cruciale in Ucraina. La riforma giudiziaria è soggetta a battute d’arresto, le istituzioni anticorruzione sono a rischio, la fiducia in tali istituzioni rimane bassa e il numero di condanne per grande corruzione è modesto». Il verdetto è sconfortante: «La grande corruzione reca danni gravi e diffusi ai singoli cittadini e alla società. Gli oligarchi e gli interessi costituiti sono le cause più profonde di tale corruzione. La grande corruzione e la cattura dello Stato ostacolano la concorrenza e la crescita e pregiudicano il processo democratico. E questo per ora rende incompatibile l’Ucraina con i valori dell’Ue».
Lo sanno tanto Putin quanto Trump, ed ecco che Zelensky sta cercando una via di compromesso per imbastire una exit strategy: la salvacorrotti, che garantisce il sistema ucraino e un salvacondotto per sé medesimo che, incalzato dalle proteste di piazza, non potrà tenere in piedi ad libitum la legge marziale che impedisce le elezioni presidenziali. È per questo che lo sconfitto del 2019, Petro Poroshenko soffia sulla protesta – in piazza si sono riviste come ai tempi di Euromaidan le formazioni neonaziste – consapevole che Zelensky è precipitato nella fiducia degli ucraini.
Ma Von der Leyen non può dirlo agli europei, altrimenti il suo piano di riarmo viene sepolto sotto una valanga di scetticismo e di opacità. Mentre a Kiev la gente che protesta è sepolta dalle bombe.