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Ergastolo per gli omicidi di Pierangelo Fioretto e Mafalda Begnozzi, ma il cold case del 1991 ha ancora tre buchi neri

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Un autentico cold case, in parte ancora misterioso, ha portato alla condanna all’ergastolo, 34 anni dopo un agghiacciante duplice omicidio, di un pregiudicato calabrese del clan dei Muto. Il 25 febbraio 2025, in contra’ Torretti, nel centro di Vicenza, erano stati uccisi a colpi di pistola l’avvocato civilista Pierangelo Fioretto di 59 anni e la moglie Mafalda Begnozzi di 52 anni. Erano nel cortile di casa ed erano stati freddati, con una vera esecuzione, da un uomo che aveva sparato a colpo sicuro, spalleggiato da un complice, probabilmente al culmine di un litigio. Per tre decenni la caccia all’assassino sembrava non aver dato frutti, poi, improvvisamente, la svolta un paio di anni fa, grazie a un nuovo riscontro scientifico, con la conseguente incriminazione di un uomo già detenuto, che ora ha 59 anni, per altri reati.

In quella sera di febbraio, poco dopo le 20, l’avvocato Fioretto aveva lasciato lo studio per tornare a casa a piedi. Nell’androne aveva trovato due persone in attesa. Secondo quanto riferito dai vicini, i tre avevano cominciato a discutere a voce alta. Poi erano stati esplosi alcuni colpi di pistola. La moglie di Fioretto, allarmata dai rumori, si era precipitata al piano terra ed era andata incontro alla morte. I killer non avevano esitato a colpire anche lei. L’inchiesta aveva accertato che erano state usate pistole-giocattolo Nuova Molgora modificate, capaci di esplodere proiettili calibro 7,65, con un dispositivo per ridurre il rumore provocato dallo sparo. Una decina i colpi che avevano raggiunto il corpo di Fioretto, altri cinque avevano ucciso la moglie.

I due assassini erano fuggiti a bordo di un’Alfa 75 risultata rubata a Milano. In contra’ Santa Lucia erano stati trovati dei guanti verdi da chirurgo fatti a pezzi e una semiautomatica con silenziatore inserito. Alcuni giorni dopo, sull’argine del Bacchiglione, era stata trovata una seconda pistola molto simile. Fu repertato anche un guanto in pelle, che alla fine si sarebbe rivelato decisivo, anche se a distanza di più di tre decenni.

La sentenza di primo grado è stata emessa dal giudice dell’udienza preliminare Antonella Crea, che ha accolto la richiesta del pubblico ministero Hans Roderich Blattner. La condanna al carcere a vita di Umberto Pietrolungo e la recente indagine non rispondono però a tre fondamentali interrogativi. Chi era la seconda persona con cui il calabrese aveva raggiunto Vicenza e per una giornata aveva girato le vie della città per individuare lo studio e l’abitazione dell’avvocato? Qual è il movente di un omicidio efferato di un professionista che non si occupava di vicende penali, ma soltanto di fascicoli relativi ad aziende, in quanto esperto di diritto fallimentare e societario? Chi fu il mandante di un delitto preparato con cura?

Che tre buchi neri siano aperti in questa vicenda lo ha ammesso anche il procuratore di Vicenza, Lino Giorgio Bruno: “Questa è solo una parte di verità processuale, poiché è stato individuato solo uno dei due esecutori materiali. Sullo sfondo rimane il secondo e, soprattutto, il mandante e il movente che hanno determinato il duplice omicidio”. Che vi fosse un mandante pare evidente, considerando che l’uomo incriminato non aveva avuto nessun rapporto personale con Fioretto e non vi era un suo collegamento con i fascicoli di cui il legale si era occupato.

Pietrolungo ha assistito dal carcere alla lettura della sentenza , collegato in videoconferenza, assieme agli avvocati Marco Bianco e Giuseppe Bruno. In aula era invece presente un terzo difensore, Matilde Greselin, che ha commentato: “Siamo molto amareggiati, abbiamo lavorato a lungo a questo processo, ma a volte la verità processuale non emerge come vorremmo, come quella reale. Leggeremo i motivi e faremo appello contro un pronunciamento che riteniamo ingiusto”. Il colpo di scena si era verificato nel 2023 quando la polizia scientifica aveva confrontato il Dna rilevato su un guanto di pelle che era stato trovato non lontano dal luogo del delitto (e attribuito al killer) con un analogo reperto riferito a una sparatoria avvenuta nel 2022 a Cirella di Diamante, in provincia di Cosenza. Il quadro era stato completato da altri accertamenti, in particolare la carriera criminale dell’indagato e il raffronto con l’identikit ricostruito nel 1991 grazie a testimoni vicentini. Avevano visto due uomini chiedere informazioni sull’avvocato Fioretto sia in Tribunale che nella zona dove abitava. Poi, in serata, il tragico epilogo

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