Tesori archeologici bombardati e siti storici trasformati in località turistiche: così Israele mette in atto la “cancellazione culturale palestinese”
Anfore, mosaici, ceramiche. Migliaia di pezzi, un catalogo sterminato risultato di trent’anni di scavi. Sono stati inscatolati e sgomberati con sei camion da un deposito di reperti archeologici di Gaza City poche ore prima prima che l’edificio venisse raso al suolo da un missile nella seconda fase dell’operazione “Gideon’s Chariots”: secondo l’esercito israeliano ospitava strutture dell’intelligence di Hamas. “Hanno consentito solo una parziale evacuazione dei reperti che intendeva colpire – denuncia Alon Arad, direttore esecutivo di Emek Shaveh, associazione israeliana che si batte per la conservazione delle antichità -. L’antiquarium conteneva circa 30 anni di lavoro archeologico nella Striscia e custodiva decine di migliaia di reperti. Alcuni sono stati rimossi, ma molti sono andati distrutti“.
Il magazzino apparteneva all’École Biblique et Archéologique Française. Fondato nel 1890 a Gerusalemme, l’istituto si fregia di essere “il più antico centro di ricerca archeologica biblica in Terra Santa” e da tre decenni conduce scavi e progetti di restauro con archeologi esperti locali in siti dell’importanza del Monastero di Sant’Ilarione, nel villaggio di Nuseirat, al quale a dicembre l’Unesco ha accordato una “protezione rafforzata” per tentare di risparmiarlo dalla bombe. L’Agenzia dell’Onu per la Scienza e la Cultura ha tenuto conto dei danni inflitti dalle Idf al patrimonio artistico della Striscia. Tra il 7 ottobre 2023 e il 18 agosto 2025 , l’ente “ha verificato danni a 110 siti: 13 religiosi, 77 edifici di interesse storico e/o artistico, 3 depositi di beni culturali mobili, 9 monumenti, 1 museo e 7 siti archeologici“.
Sei di questi sono stati distrutti o parzialmente demoliti. “Il Pasha Palace Museum, risalente al XIII secolo, è stato bombardato due volte nel dicembre 2023 e quasi totalmente raso al suolo”, spiega in un report pubblicato a maggio la Commissione internazionale indipendente delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati, la stessa che nei giorni scorsi ha accusato Israele di genocidio. Identica sorte è toccata alla Samaritan Bathhouse – bombardata e sbriciolata dai bulldozer nello stesso periodo; alla Israa University e al suo museo, demoliti il 13 gennaio 2024; alla facoltà di Arti e Umanistica e all’auditorium della Al-Azhar University; al Rashad al-Shawa Cultural Centre e agli Archivi centrali di Gaza City, dati alle fiamme nel 2023. Altri capolavori come il porto di Anthedon, il Cimitero romano, la Grande Moschea Omari e la Chiesa di San Porfirio sono stati gravemente danneggiati. Per la Commissione Onu si tratta di una strategia: “Il numero e l’importanza dei siti colpiti indicano che le forze israeliane hanno condotto una campagna di devastazione dei bersagli civili e delle infrastrutture, parte di un attacco esteso e sistematico contro la popolazione civile”, conclude l’organismo, che “considera queste azioni come parte di un disegno deliberato di cancellazione culturale“.
Qualcosa di simile, ma senza missili, sta avvenendo in Cisgiordania. Negli ultimi 5 mesi lo Stato maggiore per l’Archeologia dell’Amministrazione Civile israeliana ha dichiarato “siti di interesse archeologico” 60 località nel nord dei Territori occupati, 31 delle quali solo nell’area di Nablus. “Nel corso degli anni in Cisgiordania sono stati identificati circa 6.000 siti archeologici – spiega Arad -. In teoria, questo tipo di provvedimenti hanno lo scopo di proteggere il patrimonio fissando i confini del sito e ponendolo sotto l’autorità dell’Amministrazione civile. In realtà, vengono utilizzati per bloccare lo sviluppo palestinese e portano allo sfollamento delle comunità dalle loro terre e all’appropriazione del loro patrimonio culturale”.
Secondo gli Accordi di Oslo, infatti, la SOA ha giurisdizione solo in quella che viene definita “Area C” dei Territori. Ma nel luglio 2024 il governo Netanyahu l’ha autorizzata a operare anche nei siti archeologici dell'”Area B“, che in base a Oslo ricade sotto il controllo civile palestinese. Anche se non esistono norme che autorizzano esplicitamente l’Idf o l’Amministrazione Civile a farlo, con il passaggio a Israele del controllo amministrativo anche dell’Area B le autorità di Tel Aviv possono usare la definizione di un sito come “archeologico” come base giuridica per ordinare la rimozione o la demolizione di edifici, strutture o campi palestinesi per motivi di “tutela” del patrimonio culturale ebraico. A volte, come avvenuto a Sebastia, i siti sono destinati a trasformarsi in località turistiche, nei quali l’identità palestinese viene cancellata e viene proposta la narrazione di un legame storico esclusivamente ebraico con la terra.
“La maggior parte delle recenti dichiarazioni riguardano siti nell’Area C, ma almeno una si estende nell’Area B – conclude Arad di Emek Shaveh -. Si tratta del maggior numero di designazioni emesse contemporaneamente, il che suggerisce che l’ICA, in coordinamento con i consigli regionali dei coloni, sta implementando tutti i meccanismi disponibili per promuovere una bonifica totale dell’Area C dalle comunità palestinesi e anche in alcuni casi dall’Area B. Le antichità vengono utilizzate come armi e come strumento burocratico per promuovere lo sfollamento e l’annessione“.
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