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“Ho paura della mia rabbia”. “Vorrei piangere ma non riesco”: il racconto di una seduta di autocoscienza maschile dove si impara a parlare di emozioni

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“Dopo le litigate sento la rabbia salire e ho paura di non riuscire a controllarla, non voglio diventare un uomo violento”, dice uno dei primi uomini a prendere la parola. Poco dopo un altro aggiunge: “Vorrei piangere davanti la mia compagna o anche da solo, ma è come se il mio corpo si rifiutasse di lasciarmi essere fragile ed esprimere le mie emozioni ”.

Sono frammenti di una seduta di autocoscienza maschile a cui ilfattoquotidiano.it ha partecipato durante il festival Hey Man!, alla Fabbrica del Vapore di Milano, promosso da Mica Macho e Osservatorio Maschile. Un esercizio collettivo che ribalta l’immaginario del maschio alfa e apre lo spazio a un altro modello: fatto di fragilità condivise, emozioni espresse e silenzi rotti.

Ripensare il maschile partendo dagli uomini stessi. È la sfida che i gruppi di autocoscienza maschile si pongono: esperienze nate negli anni ’70 e tornate in auge negli ultimi anni come strumenti per mettere in discussione modelli educativi e stereotipi legati alla virilità. Non lezioni frontali né convegni accademici, ma pratiche di confronto diretto: sedersi in cerchio, parlare, ascoltare, senza giudizi.

Nella sala si ritrovano una ventina di uomini. Ci sono ventenni che studiano, lavoratori, impiegati, artisti. Diversi per età e provenienza, accomunati dalla stessa scelta: prendersi un paio d’ore per guardarsi dentro. La seduta è guidata da facilitatori che chiariscono subito le regole: niente giudizi, niente competizione, niente teorie. “Questo è un luogo dove si può dire anche il pensiero peggiore che attraversa la mente. Metterlo in parole è il primo passo per capirlo e smontarlo” spiega uno dei moderatori.

Il confronto parte con lentezza. “Siamo stati educati a non esprimere la nostra emotività. È complicato aprirsi e mostrare la nostra fragilità. Ma se non partiamo da qui, resteremo prigionieri di un maschile tossico” osserva un partecipante.

La regola è l’ascolto. Nessuno interviene per correggere o giudicare. Non si sentono frasi come “hai sbagliato” o “non dovevi fare così”. L’obiettivo non è stabilire chi ha ragione, ma condividere e riconoscersi. “Abbiamo bisogno di spazi informali e personali. Luoghi dove allenarci a parlare delle nostre emozioni, perché non ci viene insegnato” viene sottolineato da diversi alla fine dell’incontro .

Il metodo si fonda su due cardini: riservatezza e intimità. Tutto resta dentro la stanza. È questa protezione che permette di raccontare episodi mai condivisi prima: gelosie, paure, errori. E proprio dalla messa in comune nasce il passaggio dal personale al politico: le storie individuali si intrecciano e mostrano come molti atteggiamenti – il bisogno di controllo, la fatica a chiedere aiuto, la svalutazione della cura – non siano scelte individuali ma prodotti di un modello culturale che assegna agli uomini un ruolo preciso.

A volte esci più confuso di prima. Ma è una confusione necessaria, perché ti accorgi che ciò che ti sembrava naturale non lo è” ammette un ragazzo. Questi gruppi non sono terapia, non sostituiscono percorsi professionali, ma creano comunità. E al festival Hey Man! hanno attirato molta attenzione, accanto ai dibattiti, agli spettacoli e ai laboratori. Perché dicono qualcosa di un tempo in cui la questione maschile non è più solo sfondo, ma tema centrale: la violenza di genere, le relazioni affettive, la paternità, il consenso. “Non basta dire agli uomini di cambiare. Bisogna dare loro gli strumenti e gli spazi per farlo” sottolineano gli organizzatori.

In Italia esperienze di questo tipo si stanno moltiplicando, dalle grandi città ai piccoli centri. Si pongono come un tassello complementare: non una soluzione, ma un tentativo di affrontare il nodo da dentro, partendo proprio dagli uomini. E la cornice di un festival pubblico, come quello milanese, serve a rendere visibile ciò che di solito resta confinato a incontri riservati.

“Sedersi in cerchio, ascoltare e raccontare non scioglie di colpo le contraddizioni, non elimina la fatica. Ma incrina un modello secolare, quello del maschio alfa che non deve chiedere mai. E forse proprio da queste incrinature può partire la costruzione di un nuovo maschile” ci dice un partecipante.

L'articolo “Ho paura della mia rabbia”. “Vorrei piangere ma non riesco”: il racconto di una seduta di autocoscienza maschile dove si impara a parlare di emozioni proviene da Il Fatto Quotidiano.




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