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Solo da noi si paralizza tutto per la Flotilla

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A Parigi si mobilitano certo, ma lo fanno perché la Francia sta vivendo una delle crisi – un pericolosissimo mix politico ed economico – più gravi del Dopoguerra. Hanno un primo ministro, Sébastien Lecornu, che da 20 giorni e più non riesce a formare un esecutivo e le agenzie di rating che continuano a randellare sul debito pubblico del Paese. In Spagna ci sono studenti che manifestano per la Flotilla, ma siamo al minimo sindacale, così come rientrano nell’ordinarietà delle proteste i dimostranti che si sono riuniti davanti alla stazione centrale di Berlino scandendo lo slogan «Free Palestine», o i gruppi più o meno organizzati di persone assiepate nei pressi dei consolati israeliani di mezza Europa. 

Insomma, in nessun Paese al mondo ci sono sindacati che hanno deciso di proclamare uno sciopero generale perché le imbarcazioni flotilliane dirette verso Gaza sono state fermate da un preannunciatissimo blocco navale. Provocando peraltro un’escalation di annunci partita dagli autonomi dell’Usb, una costola dalla Cgil, e terminata con il comunicato dello stessa sigla che fa capo a Maurizio Landini, terrorizzata dalla possibilità di essere scavalcata a sinistra dagli ex compagni. 

E così, unici in Europa e nel mondo, non ci resta che prepararci all’ennesimo fine settimana di passione tra disagi, treni cancellati e manifestazioni paralizzanti e spesso pericolose che non toccano neanche marginalmente le vere questioni del mondo del lavoro. 

Dei problemi e delle chiusure di Stellantis ci occupiamo un giorno sì e l’altro pure, mentre il lento declino dell’ex Fiat non sembra essere tra le questioni prioritarie dei duri e puri di Corso d’Italia. Così come raccontiamo da tempo che se i contratti del pubblico impiego, con conseguenti incrementi retributivi per il triennio 2022-2024, sono bloccati la colpa è della Cgil e della Uil. 

L’esecutivo ha messo sul piatto 20 miliardi e a oggi è riuscito a usarli solo in parte. Da mesi sono in corso trattative per chiudere gli accordi con le varie categorie e se qualche risultato è stato raggiunto non è certo per merito di Landini (Cgil) e Bombardieri (Uil). Per i due alfieri del no a tutti i costi aumenti superiori al 6%, in media più di 150 euro lordi al mese, non sono sufficienti perché l’inflazione del periodo è stata più alta. Strana argomentazione per chi, con governi di colore diverso, ha accettato di rinnovare contratti che mettevano ben più a dura prova il potere d’acquisto dei lavoratori. È una questione politica e di fronte al pregiudizio a prescindere è difficile trovare le armi giuste. 

Ci sta ancora provando il governo. Sul piatto sono arrivati 150 milioni aggiuntivi (dovrebbero entrare in manovra) per il rinnovo degli enti locali, più di 400.000 lavoratori di Regioni, Comuni, Province eccetera.

Ieri c’è stato l’ennesimo vertice all’Aran che ha portato a una nuova fumata nera. Niente intesa. Le posizioni di Cgil e Uil sono apparse più sfumate rispetto al passato. Ma di chiudere e «regalare» gli aumenti in busta paga non se ne parla. È tutto rinviato al prossimo incontro del 14.

«Il contratto delle funzioni locali», evidenzia il segretario generale della Funzione pubblica della Cisl, Roberto Chierchia, al termine dell’incontro all’Aran, «è scaduto dal 31 dicembre 2021 e da quasi quattro anni 400.000 lavoratori aspettano il rinnovo. La nostra posizione è chiara: non c’è più spazio per tatticismi e rinvii, perché così si blocca non solo il contratto in corso ma anche l’apertura della nuova stagione 2025-2027».

Motivo? «L’inflazione in questi anni ha eroso stipendi e potere d’acquisto come non accadeva da decenni. Di fronte a questa emergenza l’unica risposta concreta è firmare subito il contratto per far partire la prossima tornata. Continuare con uno stallo incomprensibile significa tenere fermi aumenti tabellari, indennità aggiornate e nuove tutele che abbiamo già negoziato. Il governo sta avviando un confronto con i sindacati in vista della finanziaria. I contratti della sanità pubblica e della dirigenza delle funzioni centrali hanno già ottenuto il via libera della presidenza del Consiglio e sono vicini alla firma definitiva. Lasciare fuori i 400.000 lavoratori delle autonomie locali sarebbe un disastro».

E del resto c’è anche un altro tema che sta particolarmente a cuore ai lavoratori. Se non si firmano le intese per il 2022-2024, non è possibile trattare e chiudere neanche gli accordi per il triennio successivo, quello 2025-2027, con risorse già completamente stanziate dall’esecutivo e al momento inutilizzate. 

Migliaia di lavoratori che continuano a perdere centinaia di euro al mese per le posizioni evidentemente pregiudiziali della Cgil in primis e della Uil che segue i compagni come una ruota di scorta. Ci sarebbe da fare manifestazioni a nastro e da scendere in piazza in modo permanente. Se non fosse che tutti i luoghi pubblici di incontro sono già da mesi occupati da Landini e compagni.




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