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“Ho passato il provino per ‘Un Professore’ combattendo 9 anni per un sì. Io e Nicolas Maupas sgridati prima di iniziare le riprese”: parla Davide Di Vetta

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“Da piccolo andavo dalle maestre piangendo e le pregavo di essere il protagonista nelle recite”. Il mestiere dell’attore, Davide Di Vetta l’ha amato fin dall’infanzia. Dopo anni di studio e diversi no incassati, la serie “Un Professore”, co-prodotta da Rai Fiction e Banijay, è stata il suo ingresso nel mondo del piccolo schermo. Nella classe dell’insegnante di filosofia Dante Balestra interpreta Matteo, un ragazzo spiritoso che dietro il carattere estroverso nasconde anche delle insicurezze.

Dopo gli ottimi ascolti delle prime due stagioni, la serie torna in onda per sei serate, su Rai 1, dal 20 novembre, ed è stata presentata alla Festa di Roma, oggi 18 ottobre. Gli studenti della 5B saranno chiamati a sostenere la maturità e ad affrontare scelte importanti per il loro futuro.

‘Un Professore’ mi ha plasmato, mi ha fatto conoscere il mondo della televisione da dentro. – racconta Di Vetta a FqMagazine – E non è sempre tutto rose e fiori, sul set bisogna essere capaci di lasciare a casa il proprio mondo e i propri problemi e immedesimarsi nel personaggio. Sono grato a D’Alatri, il regista della prima stagione, per aver creato il gruppo iniziale. Poi ci sono stati altri ingressi, ma l’asticella del cast è stata tenuta altissima e ho conosciuto persone squisite”.

La serie ha avuto successo tra diverse generazioni “perché non insegue l’idillio e non crea aspettative, ma cerca di parlare in maniera umana di cose umane”. Prima di lavorare in “Un Professore”, però, l’attore classe 1998 (che ha avuto un ruolo anche in “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi) si è fatto le ossa studiando recitazione a Roma già da adolescente.

Com’è nata la tua passione per questo mondo?
Ho iniziato a studiare recitazione durante i primi anni di liceo. Non stavo mai fermo e mia madre voleva che facessi un corso di autocontrollo. Lei lavorava nel quartiere Flaminio, a Roma, e lì c’era lo Ials, una grande scuola di danza e recitazione. Siamo andati a informarci per capire se ci fosse il tipo di lezioni che cercavamo e abbiamo incontrato il mio futuro insegnante, Nicola Donno. Ci ha presentato il suo corso come un modo per riuscire a capire le proprie emozioni e imparare ad acquisire una coscienza di se stessi. Ho deciso di iscrivermi e ho fatto recitazione per nove anni.

Ricordi il tuo primo provino?
L’ho fatto per un progetto che non so neanche se sia mai uscito, su un ragazzo che praticava lo skateboard. Mi ha accompagnato mia mamma, avevo 15 anni e non sapevo cosa aspettarmi. Mi ricordo una video-presentazione davanti a chi faceva i casting per raccontare chi fossi. Ho rimosso tutto il resto e pure il luogo in cui sono andato per farlo, avevo una tensione e un’ansia allucinanti.

La popolarità è arrivata con “Un Professore”. Come è andata l’audizione per la serie?
È arrivata molto più tardi, dopo aver incassato tantissimi rifiuti. Ma nella vita più no ricevi, più forza hai per andare avanti. Io ho combattuto nove anni per un sì. All’inizio i provini sono randomici e li ho fatti per altri due ruoli. Era capitato Manuel, ma ero troppo grande per il personaggio. Avevo già 20 anni, andavo all’università e dovevo interpretare un ragazzo di quattro anni più piccolo. Ho fatto il selftape senza mettercela tutta perché ero partito un po’ demoralizzato dall’età scenica.

Alla fine, però, sei stato scelto per il ruolo di Matteo…
Alla casting Claudia Marotti piacevo come attore e mi ha voluto far fare un’audizione per questo personaggio. Io ero scettico e dal punto di vista mnemonico ho studiato in modo blando. Quando mi sono presentato al provino, c’era anche il regista. Ho pensato “Oddio, mo’ che mi invento?”. Ho spiegato di avere avuto delle problematiche e che mi sarei affidato un po’ all’improvvisazione. Il regista Alessandro d’Alatri mi ha dato carta bianca. Ho recitato unendo le battute che mi ricordavo a quello che inventavo sul momento. Ed è andata bene.

Nella serie il tuo personaggio è lo “spiritoso” della classe. Quanto c’è di lui in te, come eri a scuola?
Direi che Matteo mi rispecchia per un buon 60%. Nell’essere il simpaticone, cercare di smorzare la tensione, cercare sempre la battuta anche quando, a volte, non è il caso. Di me nel mio personaggio, invece, c’è di meno perché ho vissuto il liceo come un periodo tosto. Facevo lo scientifico con opzione musicale, quindi trascorrevo i pomeriggi a scuola a fare lezione con lo strumento (Di Vetta è anche diplomato in violoncello al conservatorio Santa Cecilia di Roma, ndr). Quindi studiavo poco. Sono stati però anni belli perché ho trovato moltissimi amici e anche una professoressa che è stata l’unica a capire il mio potenziale artistico.

Il professor Dante Balestra, ma nella vita reale?
Esatto. Quando me lo chiedono, rispondo sempre che lei è stata la mia Dante Balestra e nelle scuole dovrebbero esserci molti più professori così. Nella mia classe insegnava italiano e dal terzo anno anche letteratura latina.

Nella nuova stagione di “Un Professore”, la classe affronta l’ultimo anno di liceo. Cosa dobbiamo aspettarci? Ci puoi anticipare qualcosa su Matteo?
Tutti i ragazzi saranno portati a fare scelte importanti per il loro futuro e, con le novità nel cast, nasceranno anche nuove dinamiche. Su Matteo posso solo dire di tenervi pronti, perché non potete immaginarvi cosa succederà.

Come hai vissuto invece tu l’anno della maturità?
È stato bruttissimo. Se non ci fosse stata mia zia, che mi ha aiutato a studiare tutto il programma per l’esame, forse sarei ancora tra i banchi (ride, ndr). All’orale mi sono seduto con 42, un votaccio. Dovevo prendere almeno 18, è stata tosta. Tra l’altro, sono stato ammesso con sei in condotta.

Perché?
I docenti non mi amavano molto, ero bastian contrario. Ad esempio, per far saltare una verifica alla classe, comprai nel bar all’interno della scuola una gomma da masticare che faceva diventare la lingua blu. Quando entrò la professoressa avevo tra i denti una penna dello stesso colore e feci finta che mi fosse esplosa in bocca davanti a lei. Non l’avessi mai fatto. Abbiamo saltato il compito, ma l’insegnante si è parecchio spaventata e mi hanno fatto una nota infinita.

Ormai con il cast di “Un Professore” siete stati moltissime ore insieme durante le riprese. É nato un rapporto speciale con qualcuno?
Prima di cominciare a girare la serie non conoscevo nessuno, adesso usciamo e andiamo a cena fuori insieme. Il rapporto speciale è nato con Nicolas Maupas e Damiano Gavino, c’è stata grande sintonia sin da subito. Io e Nicolas ci siamo presi la prima strillata sul set e non avevamo neanche iniziato a girare.

Cosa è accaduto?
Quando sono cominciate le riprese c’era il Covid e bisognava fare il tampone. Io sono arrivato e lui era in fila davanti a me: ci siamo stretti la mano e ci siamo abbracciati. Gesto molto inusuale date le restrizioni. Ci hanno rimproverato per questo, ma è stato un imprinting. Ci vediamo spessissimo anche al di fuori del set, trascorriamo i weekend insieme. È nata veramente una bella amicizia.

Hai condiviso il set con attori esperti come Alessandro Gassmann e Claudia Pandolfi. Cosa ti hanno insegnato?
Innanzitutto è stato un privilegio iniziare a fare questo lavoro con due grandi professionisti del settore, italiano e in parte anche internazionale. Ho rubato tantissimo con gli occhi e facendo domande. Alessandro, poi, ci ha insegnato le ottiche, quelle che vengono messe sulla macchina da presa per capire il piano in cui si gira: primo piano, piano americano, piano stretto, campo largo. Condividere il set con professionisti del genere aiuta molto. In “Un Professore 2” c’è una scena in cui faccio un monologo a teatro sulla Banda della Magliana. A un certo un punto mi blocco e chiedo scusa spiegando di avere a cuore la parte. Durante le riprese mi sono sbagliato veramente. Alessandro mi ha guardato, mi ha detto di stare calmo, inventarmi qualcosa e riprendere. Ho continuato e quella scena è stata tenuta così. Se fossi stato da solo avrei chiesto di ripeterla, lui mi ha aiutato a riallacciarmi alla sceneggiatura senza perdere il personaggio.

Hai recitato anche in “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi. Che esperienza è stata a livello lavorativo e personale?
Quando il mio agente mi ha detto che mi avevano preso, ho pensato che fosse un sogno. Ho avuto la fortuna di lavorare con Gassmann e la Pandolfi e anche con Paola Cortellesi. Essendo lei una comica e pure romana, mi ero convinto di giocare nel mio campo. Poi ho letto la sceneggiatura e all’inizio sono rimasto spiazzato perché era diversa da quella che avevo immaginato. Pensavo a una commedia all’italiana come “Un gatto in tangenziale”. Quando sono andato sul set la prima volta ho capito che sarebbe stato un film di successo. Paola ha voluto fare con tutti un incontro sullo studio del personaggio, a prescindere dal tempo in cui sarebbe comparso. C’era un’attenzione maniacale al dettaglio: io facevo l’apprendista ombrellaio e lei ha chiamato un lavoratore del settore per farci vedere come si smontasse un ombrello per una scena di 10 secondi. Il film mi ha lasciato tanto dentro, sia a livello lavorativo che personale. Vedere la ricerca della perfezione di professionisti di questo livello è sempre bello. In più per la Cortellesi era l’opera prima da regista, l’asticella delle aspettative era alta ed è uscito un capolavoro.

La tua vita è cambiata con il successo?
No, non mi intacca nulla, rimango sempre Davide. Potrei essere anche Brad Pitt: uscirei comunque in via del Corso e andrei a bere una birra in piazzetta. Sono una persona molto sociale, se qualcuno mi riconosce chiacchiero con piacere.

L'articolo “Ho passato il provino per ‘Un Professore’ combattendo 9 anni per un sì. Io e Nicolas Maupas sgridati prima di iniziare le riprese”: parla Davide Di Vetta proviene da Il Fatto Quotidiano.




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