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Giovanni Allevi: la malattia mi ha riportato allo stupore del bambino

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di Alessia de Antoniis

“Le cose importanti non sono mai facili. Bisogna salire, non restare sulle strade in pianura.”
Da questa frase, pronunciata con voce pacata ma ferma, si apre Allevi – Back to Life di Simone Valentini, presentato alla Festa del Cinema di Roma. Un documentario che non celebra, ma accompagna: racconta la rinascita di Giovanni Allevi dopo la diagnosi di mieloma, la malattia che lo ha costretto al silenzio, alla sospensione, e infine a una nuova forma di ascolto.

Il film segue il compositore nel momento in cui, dopo anni di cure e isolamento, torna a dirigere un’orchestra e a ritrovare la musica come gesto vitale. “Vedere la luce nel buio – dice Allevi – non è facile. Ma forse è possibile. Anche nella sofferenza più grande, nella paura e nel dolore fisico, si può scorgere una scintilla che ti dà la forza di andare avanti.”

Sette note per dire “mieloma”

Il cuore del documentario è una scoperta: Do, La bemolle, Mi, Si, Re, Do, Do. Sette note che nascono da sette lettere: quelle della parola “mieloma”.
“Trasformando le lettere in note, come fece Bach nel 1750, ho scoperto che da quelle sette lettere scaturiva una melodia bellissima”, racconta Allevi. “Una melodia in Do, con il La bemolle, il sesto grado abbassato che dà malinconia. Ho pensato: il mio mieloma, la malattia terribile, trasformata in musica diventa una melodia romantica. Che meraviglia!”

Da questa intuizione è nato MM22, concerto per violoncello e orchestra, scritto in ospedale con il computer sulle gambe e una flebo al braccio. “Pesavo 63 chili, non avevo più capelli, né la certezza che la terapia avrebbe funzionato. Eppure in quel dolore è nata la mia musica più pura. L’intento non era cercare un’opportunità, ma compiere un gesto folle: raccontare in note l’angoscia, il vuoto, la speranza, la tenerezza, la gioia di una guarigione che forse non esiste, ma si desidera con tutto se stessi.”

Uscito dall’ospedale, Allevi ha chiesto solo una cosa: “Portatemi un’orchestra e un solista. Voglio sentirlo, questo concerto.” Le telecamere di Valentini hanno catturato quel momento: la prima esecuzione, il primo incontro con i musicisti dopo tre anni, che diventa la spina dorsale del film.

Il regista Simone Valentini racconta un lavoro durato due anni: “Abbiamo scritto il film insieme, mentre la vita di Giovanni cambiava. Ho cercato di alternare il passato e il presente, creando due livelli: il Giovanni di ieri, ripreso in vecchi concerti, e il Giovanni di oggi, fragile ma pieno di vita.”
Il risultato è un racconto a due tempi: la giovinezza come promessa e la malattia come rivelazione. Due mondi che si guardano senza giudizio.

Rivedersi nel 1990, a 23 anni, ha colpito profondamente Allevi: “Quel Giovanni era concentrato, incurante di tutto, felice. Davanti avevo quindici persone, ma ero felice. Poi è arrivato il successo e mi sono avvelenato con la logica dei numeri. Se in un teatro pieno vedevo una poltrona vuota, andavo in crisi. Perché siamo avvelenati da quella logica. Abbiamo perso il senso dell’unicità dell’individuo.”
La malattia ha spazzato via tutto, dice oggi: “E mi ha riportato allo stupore del bambino. Ho ritrovato l’entusiasmo, la concentrazione, la felicità di quando avevo vent’anni.”

Una delle riflessioni più intense di Allevi riguarda la semplicità.
“La semplicità è l’estratto della complessità, ciò che resta e che dura per sempre. È il grande insegnamento che ricevo da Mozart: la sua musica è semplice e complessa insieme. La semplicità che non ha attraversato la complessità è banalità. Ma quella che nasce dalla fatica è ciò che resiste nel tempo.”

È un elogio alla difficoltà come via per la bellezza. “Penso allo scalatore: quanta fatica per raggiungere la vetta, ma poi davanti a lui si apre un panorama mozzafiato. La bellezza costa fatica. In questi anni, soprattutto nell’arte, si è diffusa l’idea che per arrivare al pubblico bisogna abbassare il messaggio. Ma non è questo l’insegnamento dei grandi. Rachmaninoff, Prokofiev, Mozart, Beethoven, Chopin: la loro musica richiede silenzio, attenzione, comprensione. Certe cose si capiscono solo piano piano.”

Guarire l’anima

Alla domanda sul valore terapeutico della musica, Allevi risponde con gratitudine e filosofia.
“Senza la ricerca scientifica io non sarei qui,” dice. “Ma Platone ci ha insegnato che esiste anche la malattia dell’anima, e quindi la guarigione dell’anima. La scienza cura il corpo, ma forse è l’anima, se guarita, a predisporre il corpo alla guarigione.”

È il senso più profondo del film: Back to Life come ritorno alla vita interiore, alla capacità di meravigliarsi nonostante il dolore. “Liberare l’anima dalle sovrastrutture, dai pensieri inutili, dall’inessenzialità. Ritrovare una gioia di vivere nonostante la paura. Io credo che questa guarigione dell’anima si affianchi alla ricerca scientifica. È una forma di terapia invisibile, ma potentissima.”

Trent’anni di carriera hanno lasciato cicatrici. “Sono stato per trent’anni sotto il bersaglio della critica accademica,” confessa Allevi. “Mi è stato utile Jung: ogni critica è una proiezione di chi la fa, qualcosa che l’altro non accetta di sé stesso. Quando è arrivata la malattia e ho guardato in faccia la morte, ho capito che niente di tutto questo conta. Conta quello che sento nel mio cuore. Se quello che faccio non viene compreso, pazienza. Va bene lo stesso.”

E qui la sua voce si fa più leggera: “Sento che il mio cuore si scioglie. Ricomincio a respirare in questa nuova dimensione. E vorrei coinvolgere tutti gli spettatori del film, in questa bolla esistenziale dove finalmente si ricomincia a respirare.”

Nel suo sguardo limpido e nel tono che non cerca mai commiserazione, Back to Life è il ritratto di un uomo che ha trasformato la sofferenza in pensiero musicale. Valentini filma con discrezione e rispetto, lasciando che la luce e il silenzio si alternino come battute di una partitura interiore.
Il dolore, nel film, non è mai esibito: è trasfigurato in ritmo, in voce, in respiro.

Come le sette note del suo “mieloma”, che in Allevi diventano armonia: la malattia si fa musica, la paura diventa canto, e la vita, quella fragile, imperfetta, piena di cicatrici, torna a vibrare.

L'articolo Giovanni Allevi: la malattia mi ha riportato allo stupore del bambino proviene da Globalist.it.




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