Milano apre l’Arch week e si interroga sulle disuguaglianze (che ha contribuito a creare)
Nella Milano del “sistema Milano” e della rievocazione del Salvamilano, che prepara la svendita di San Siro, l’architettura si interroga da che parte stare. Dal 27 ottobre al 2 novembre, la settima Milano Arch Week, promossa da Comune, Politecnico e Triennale e intitolata Inequalities and Architecture, affronta le disuguaglianze urbane nel contesto della 24ª Esposizione Internazionale della Triennale.
Per una settimana, Milano diventa laboratorio di riflessione. La corsa a uno sviluppo che ha prodotto insieme efficienza ed esclusione, bellezza e speculazione, riflette dinamiche comuni a molte metropoli: crescita vertiginosa, attrazione di capitali, mercificazione dello spazio urbano. Il risultato è uno sfregio: città più ricche ma più diseguali, dove il diritto all’abitare resta privilegio di pochi.
Milano, in questo senso, è un caso emblematico. Quindici anni di amministrazioni progressiste l’hanno resa “più attrattiva” (leggi: più cara), “più internazionale” (leggi: meno milanese), “più ricca” (leggi: dipende per chi). Quindici anni di trasformazioni rapide e profonde, contraddistinte dai nomi dell’architettura internazionale. Dal 2012, poco prima dell’Expo, quando César Pelli piantava come un chiodo la Torre Unicredit e lo sperimentale Bosco Verticale di Stefano Boeri ridisegnava lo skyline, la città ha conosciuto da allora una stagione di grandi cantieri e architetture “iconiche”: CityLife con Hadid, Libeskind e Isozaki; il Mudec di Chipperfield; la Fondazione Prada di OMA; la Bocconi di Sanaa. Fino al più recente, e sorprendentemente sovietico, Villaggio Olimpico per Milano-Cortina 2026 dello studio SOM, che sembra uscito dai Giochi di Mosca del 1980. “Icone” che non sempre hanno costruito città, ma valore, trasformando l’architettura in strumento di accumulazione e consenso, consacrando Milano a capitale del neoliberismo.
Eppure, tutta questa ricchezza convive con la città reale, terreno di esclusione e disparità. L’architetto Giovanni La Varra artiglia la questione: “Quando una città come Milano aumenta esponenzialmente la sua ricchezza ma le piscine pubbliche che erano tre rimangono tre, c’è un problema”. Ecco. La domanda cruciale del nostro tempo riguarda proprio questo: quanto di questa ricchezza resta davvero pubblico e condiviso? Chi può esercitare il diritto alla città e chi ne resta sistematicamente escluso?
La risposta non è solo sociale o economica, ma anche politica: le scelte delle amministrazioni e i modelli di sviluppo plasmano la città. Ma anche l’architettura non può sottrarsi al giudizio: quando abdica al ruolo civile e piega il progetto al mercato, generando rendite invece di relazioni, tradisce il proprio mandato.
Proprio per affrontare questi temi, la Milano Arch Week apre uno spazio di riflessione: la città sospende la sua corsa, osserva margini, fratture e vuoti, e analizza le disuguaglianze che attraversano i territori urbani, dal Nord al Sud del mondo, distinguendo chi ha accesso alla città da chi ne resta escluso.
Alla Milano Arch Week ci saremo anche noi con UTOPIA! Architettura e diritti umani – Città di resistenza, inclusione e giustizia, due giornate (30 e 31 ottobre, sede eFM, via Statuto 11) dedicate a urbicidio e disuguaglianze urbane. Gli ospiti (con il coordinamento di chi scrive) – gli architetti Cino Zucchi, Elisa Vendemini, Camillo Botticini, Giulia Ciusani, Gianandrea Barreca, Giovanni La Varra, Massimo Cardone, Andrea Stipa e Francesca Luciano, l’antropologo Giorgio de Finis, il giornalista Massimiliano Amato, gli urbanisti Paolo Berdini e Silvia Serreli e il filosofo Emiliano Boschetto — non propongono masterplan risolutivi né formule salvifiche, ma avviano un confronto aperto e collettivo per ripensare la città: chi la abita, chi ne resta escluso e quale ruolo può avere l’architettura nel costruire spazi davvero democratici.
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