L’Europa schiacciata tra Trump e Xi: che cosa rischia su terre rare, materiali critici e semiconduttori
“L’Europa si trova ad affrontare un cambiamento epocale dell’ordine internazionale, sempre più definito dal potere, economico, tecnologico o militare”. Parlando alla terza edizione del Berlin Global Dialogue, il 25 ottobre Ursula von der Leyen metteva in guardia dall’inadeguatezza del Vecchio continente di fronte alla minaccia di potenze straniere intente a “creare una morsa su paesi e settori per esercitare il controllo e imporre coercizioni“. La presidente della Commissione Ue si riferiva soprattutto alla Cina e al suo semi-monopolio su terre rare e materiali critici. Ma la condanna esplicita al “transazionalismo” aveva come destinatari gli Stati Uniti di Donald Trump, lo storico alleato sempre meno incline a fare gioco di squadra. Congelata la guerra commerciale Pechino, il tycoon è tornato persino a parlare di G2, alludendo a un duopolio economico e politico che rischia di marginalizzare gli alleati europei.
Negli ultimi mesi il vecchio continente è finito nel fuoco incrociato delle due superpotenze. Prima le restrizioni sull’export di terre rare, poi l’interruzione delle forniture di semiconduttori: le misure introdotte da Pechino per colpire gli Stati Uniti uniti hanno compromesso la catena di approvvigionamento globale e il settore dell’automotive europeo. Passata una settimana, a Bruxelles si fatica ancora a decifrare l’accordo stretto da Trump e Xi Jinping in Corea del Sud.
Tutto ruota intorno all’espressione “export control”. Secondo la Casa Bianca, la Cina si è impegnata a rilasciare “licenze generali valide per esportazioni di terre rare, gallio, germanio, antimonio e grafite a beneficio degli utenti finali statunitensi e dei loro fornitori in tutto il mondo”. In cambio, Washington ha accettato di sospendere l’ampliamento della blacklist del Commercio che avrebbe incluso circa 20.000 aziende cinesi. Il dietrofront di Trump ha aperto uno spiraglio sul controverso caso Nexperia, l’azienda dei chip, sussidiaria della cinese Wingtech, che il governo olandese – per adeguarsi ai controlli americani – ha commissariato a ottobre provocando l’interruzione delle esportazioni dalla Cina, dove viene assemblato il 70% di quanto prodotto in Europa. “Le indicazioni del settore sono che il ministero del Commercio cinese si è impegnato negli ultimi giorni con le aziende dell’Ue per ripristinare il flusso parziale di chip”, ha dichiarato ieri al South China Morning Post Olif Gill.
Sarebbe un bel colpo per il Vecchio Continente, che ancora fatica a stabilizzare le forniture di materiali critici e microprocessori nonostante l’istituzione di un nuovo sistema per affrontare le barriere e i ritardi nella catena di approvvigionamento concordato a luglio durante la visita in Cina di von der Leyen. Ma se sia effettivamente così non sembra averlo chiaro nemmeno la Commissione.
Confermata la validità delle nuove misure sulle terre rare “per tutto il mondo” (compresa l’Europa), restano dubbi se – come sostenuto dalla Casa Bianca – il compromesso raggiunto da The Donald e Xi riguardi anche i controlli precedenti alle ultime restrizioni del 9 ottobre. E mentre il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, lunedì ha accolto “con favore i progressi su Nexperia”, solo ieri Pechino ha accusato i Paesi Bassi di continuare “ad agire unilateralmente senza adottare misure concrete per risolvere la questione”.
Il cortocircuito non solo mette in luce la limitata efficacia dei colloqui condotti finora dall’Ue con la Cina. Sorgono anche serie perplessità sul coordinamento con gli States. “Considerata l’importanza strategica dei semiconduttori e dell’accesso alle terre rare è altamente improbabile che gli Stati Uniti, sotto Trump, includano l’Europa negli accordi con la Cina”, dice a Ilfattoquotidiano.it Stefan Messingschlager, storico ed esperto di relazioni sino-europee presso la Helmut Schmidt University di Amburgo. “Washington percepisce Bruxelles principalmente come un rivale economico piuttosto che come un alleato strategico. Al contrario, la Cina potrebbe sfruttare proprio questo contrasto nell’alleanza offrendo all’Ue condizioni leggermente più favorevoli. Ad esempio, estendendo la sospensione delle restrizioni all’esportazione oltre l’attuale accordo con gli Stati Uniti”.
Così facendo verrebbero soddisfatte le esigenze economiche delle aziende europee, ma allo stesso tempo aumenterebbe la vulnerabilità delle istituzioni comunitarie. “La leadership cinese è profondamente consapevole della propria forza geoeconomica ed è abile nel tradurla in influenza politica, ponendo rischi sostanziali non solo per la coesione transatlantica, ma anche per la stessa unità europea”, osserva l’esperto. Lo dimostra la reticenza a inaugurare lo Strumento Anti-Coercizione, meccanismo introdotto nel 2023 che permette di adottare contromisure calibrate contro l’utilizzo di pressioni economiche esterne. Ma la cui credibilità dipende dalla coesione degli Stati membri e dalla capacità della Commissione di passare rapidamente dalla fase di valutazione all’azione, due requisiti di cui l’Ue è notoriamente sprovvista.
Per Bruxelles, la soluzione più auspicabile è sempre la solita, ben nota, ma difficile da concretizzare: “Costruire un’autonomia strategica strutturata“. Il che per Messingschlager “non rappresenterebbe una rottura con Washington; piuttosto, costituisce una prudente realpolitik, necessaria per affrontare le incertezze e le complessità delle relazioni transatlantiche sotto l’amministrazione Trump”.
Un primo passo in questa direzione è stato compiuto con la “RESourceEU”, piano annunciato da von der Leyen lo scorso mese per rafforzare la resilienza della catena di approvvigionamento europea per i metalli strategicamente cruciali, potenziando i legami commerciali con i paesi terzi così da aumentare l’attività di estrazione e raffinazione e costruire scorte congiunte. Se è rischioso dipendere dalla Cina, lo è altrettanto fare affidamento sulle concessioni strappate dagli Stati Uniti. Anche perché – avverte lo studioso – “l’accordo tra Pechino e Washington fornisce un sollievo tattico piuttosto che una svolta strategica”: “Permette a Trump di presentare risultati immediati al suo elettorato. Ma – checché ne dica il segretario al Tesoro Scott Bessent – “la sospensione delle restrizioni all’esportazione di terre rare da parte di Pechino durerà un solo anno mentre la dipendenza strutturale dell’America si prevede persisterà per almeno un altro decennio”.
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