Mario Mantovani chiede maxi risarcimento a 10 magistrati per “ingiusta detenzione”: la mossa in vista delle Regionali. Intanto riceve un “no” dalla Corte d’appello
È una vera crociata quella che Mario Mantovani sta conducendo contro la magistratura. Arrestato nel 2015, condannato nel 2019 in primo grado e infine assolto in appello nel 2022, ora il politico ex berlusconiano (che ha traslocato in Fratelli d’Italia, ridiventando sia eurodeputato sia sindaco di Arconate) chiama davanti al Tribunale civile di Brescia dieci magistrati milanesi – tutti quelli che a vario titolo si sono occupati di lui – e chiede che gli paghino di tasca propria un risarcimento milionario per “ingiusta detenzione“: 41 giorni in carcere e 142 ai domiciliari, quando era vicegovernatore della Lombardia e potente assessore alla Salute.
Il primo round, però, è finito male: la Corte d’appello di Milano, passaggio prodromico alle altre cause, gli ha negato un indennizzo da un milione di euro, addebitandogli una “colpa grave” per aver reso “dichiarazioni menzognere” e aver agito “con arroganza”, esercitando le funzioni di pubblico amministratore con una “macroscopica inosservanza di norme di lealtà e trasparenza”. Il politico non l’ha presa bene: “Si devono vergognare. Hanno perso l’opportunità di riaffermare giustizia e verità”, ha dichiarato a un blog locale nel corso di un’intervista un po’ compiacente. Aggiungendo: “La magistratura è al punto più basso di considerazione popolare”.
Per quale ragione Mantovani vuole condurre una guerra contro i giudici? Secondo ambienti di Fratelli d’Italia, il politico cerca il colpo di teatro: far condannare i magistrati che contribuirono alla sua incarcerazione nel 2015 per guadagnarsi il centro della scena, anche mediatica, in vista delle elezioni regionali 2028, quando saranno i meloniani, in virtù dell’accordo con la Lega in Veneto, a indicare il candidato presidente. Obiettivo: tornare laddove è stato “interrotto” e salire l’ultimo scalino, candidandosi a governatore. Progetto un tantino velleitario, ma non peregrino. Guardato all’inizio con diffidenza dai vertici del partito di Giorgia Meloni, Mantovani si è guadagnato rispetto e considerazione, sia perché alle europee del 2024 è stato eletto con 39 mila preferenze sia perché ha stretto un rapporto di amicizia con il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che non a caso negli ultimi anni è ospite fisso di Mantovani nel giardino di una villa settecentesca a Cuggiono, nel Parco del Ticino, dove ogni estate il politico chiama a raccolta i fedelissimi in occasione del suo compleanno.
Ecco perché questo intoppo della Corte d’appello ha creato all’aspirante governatore lombardo un certo disagio. Voleva essere risarcito con 1.100.474,23 euro – somma calcolata al centesimo tra giorni di carcere, danni alla reputazione, all’immagine, alla salute e alla carriera politica, causati da 1.500 articoli di giornale – e invece si è visto rinfacciare una serie di vecchie accuse che aveva dimenticato e non avrebbe più voluto leggere. La V sezione (presieduta da Francesca Vitale con i colleghi Veronica Tallarida e Stefano Caramellino) ci ha tenuto a entrare nei dettagli delle singole accuse, poi cadute, che lo portarono in carcere: corruzione, concussione e turbativa d’asta.
Bisogna tornare al 13 ottobre 2015, quando l’allora vicegovernatore della Lombardia viene arrestato. Dalle carte dell’inchiesta emerge una gara regionale per il trasporto degli ammalati dializzati, fatta annullare, secondo l’accusa, per le pressioni di Mantovani sul capo dell’Asl Milano 1, suo sodale. Inoltre, una serie di fatture non saldate a un architetto che lavorò per il politico e i suoi famigliari, in parte ripagato con commesse pubbliche. Infine, una storia di pressioni sul Provveditore delle Opere pubbliche in Lombardia, affinché restituisse ruolo e deleghe a un funzionario vicino al politico, colpito da un rinvio a giudizio per corruzione.
Nel luglio 2019, al termine del processo di primo grado, Mantovani è condannato a 5 anni e 6 mesi di carcere per corruzione e turbativa d’asta. Il politico ricorre in Appello (anche la Procura, per la verità) e i giudici di secondo grado spazzano via la condanna. La sentenza attribuisce a Mantovani “comportamenti men che commendevoli”, ma li riduce ad atteggiamenti non punibili. La concussione, per i magistrati di secondo grado, “non è stata dimostrata, oltre ogni dubbio ragionevole”, mancando la “prospettazione del male ingiusto”. La corruzione, invece, non esiste, in quanto la vicenda dell’architetto (pagamenti delle fatture procrastinati con la promessa di ricevere commesse pubbliche) è sì inquadrabile nella poco nobile pratica delle “raccomandazioni“, ma non integra reato. Sulla turbativa d’asta per la gara del trasporto dei dializzati, il giudice ritiene di “sostanziale legittimità l’azione amministrativa posta in essere dal presunto esecutore materiale della turbativa”, cioè dal capo dell’Asl che annullò la gara. Insomma: “Un quadro probatorio solo suggestivo di interventi indebiti”.
L’assoluzione per insussistenza del fatto viene pronunciata nel marzo 2022 dalla II sezione della Corte d’appello di Milano, presieduta da Maurizio Boselli. Per Mantovani la giustizia ha finalmente trionfato. Ma non basta. Qualcuno deve pagare per quella “ingiusta detenzione”, per quell’arresto illegittimo e figlio del “giustizialismo politico“. Lo ripete più volte nel corso degli anni: “La Procura di Milano deve farsi un esame di coscienza”. Ma non fa cenno alle azioni nel frattempo messe in campo. Non dice di aver promosso una causa civile contro dieci magistrati. Non dice di aver chiesto un milione di euro allo Stato, portando il ministero dell’Economia davanti alla Corte d’appello di Milano. Lo si è scoperto solo in questi giorni, quando i giudici gli hanno negato ogni indennizzo per “colpa grave” e certificato che il suo arresto fu motivato e legittimo.
“Elementi investigativi”, scrivono i giudici, portarono a “una corretta lettura al momento dell’emissione della misura cautelare”, perché “effettivamente erano suggestivi di una responsabilità che, se pure poi esclusa, ben valeva l’emissione dell’arresto”. La Corte d’appello richiama poi “le decise sollecitazioni rivolte al Provveditore delle Opere pubbliche”, nonché “la grossolana mancanza di correttezza che deve informare la condotta dei pubblici ufficiali” e “una certa arroganza (di Mantovani, ndr) legata al proprio status”. Conclusione: “Tanto basta all’evidenza a integrare il profilo della colpa grave che esclude il diritto all’indennizzo”.
Ora a Mantovani non resta che fare ricorso in Cassazione, sperando che da Brescia arrivi qualche soddisfazione in più. Tra i dieci magistrati citati nella causa civile c’è naturalmente il Pm Giovanni Polizzi che svolse le indagini e chiese la custodia cautelare, la Gip Stefania Pepe che la concesse e i giudici del Riesame che negarono la scarcerazione, oltre al collegio di primo grado presieduto dalla giudice Giulia Turri, che condannò il politico. Per imbastire la causa, però, Mantovani ha dovuto attivare una particolare procedura: citare lo Stato in persona della Presidenza del Consiglio dei ministri per vedere riconosciuta la responsabilità civile di tutti i magistrati. E a palazzo Chigi siede pro tempore Giorgia Meloni, ovvero la capa del suo partito. Che forse non sarà felicissima di dover gestire un’ennesima grana.
L'articolo Mario Mantovani chiede maxi risarcimento a 10 magistrati per “ingiusta detenzione”: la mossa in vista delle Regionali. Intanto riceve un “no” dalla Corte d’appello proviene da Il Fatto Quotidiano.
