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Dalla crisi climatica agli incidenti sul lavoro: i costi nascosti dell’economia dei consumi

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Nella nostra società domina l’economia del Pil e dei consumi, cioè l’idea che lo sviluppo quantitativo sia l’unica direzione in cui si può realizzare un elevato benessere e raggiungere standard ottimali di qualità della vita, senza limitazioni che, secondo questa visione, non sarebbero possibili in altre forme di economia ed organizzazione sociale. Senonché questo modello comporta conseguenze negative e prezzi molto alti per la vita delle persone. È il nostro un sistema economico che genera in primis un incontenibile aumento delle temperature ed effetti climalteranti che sono sotto gli occhi di tutti.

Alluvioni e siccità, riduzione drastica della produzione agricola e impoverimento della biodiversità sulla terra, nei fiumi e nei mari. Per quanti, sempre inadeguati, tentativi si stiano profondendo per limitare questi effetti, finora i risultati sono stati molto grami, la macchina mondiale delle emissioni macina senza limiti i suoi terribili gas ed anidride carbonica, riempendo l’atmosfera, la terra e il mare. Le gravi conseguenze sulla salute delle comunità non frenano questa spinta e non inducono ad assumere provvedimenti concretamente efficaci, come evidenziano anche i ripensamenti europei sul green deal, accantonato e sostituito da un orribile war deal.

Le conseguenze negative non si misurano sono solo su questo livello: nel mondo del lavoro domina la logica del profitto da conseguire in ogni modo, molte, troppe volte, senza guardare per il sottile riguardo alla sicurezza del lavoro. Infatti gli incidenti con morti, feriti e invalidi permanenti non diminuiscono, al contrario aumentano costantemente. Il caso dell’Italia è paradigmatico: siamo il paese europeo con i dati peggiori, più di mille morti all’anno e non si vede il modo di invertire la tendenza, anche perché questo governo non ha alcuna intenzione di intervenire in modo coerente, adeguando un sistema di controlli realmente efficace, per non “disturbare il manovratore”, lo ha detto Meloni fin da subito.

Un aspetto ancora più doloroso di queste morti è che riguardano in misura rilevante lavoratori ultrasessantenni, che svolgono attività non più idonee e molto pericolose, a riprova di una condizione sociale del lavoro insostenibile.

Un altro effetto sul nostro sistema di vita, condizionato dal mito dell’automobile e della velocità, prodotto di una “cultura” del “consumo quindi sono”, dell’apparire e del primeggiare, sono gli incidenti stradali, sempre più frequenti, sempre più tragici che coinvolgono soprattutto giovani e giovanissimi che sfidano la sorte guidando auto a folle velocità. Si uccidono e uccidono in una “guerra” che produce migliaia di morti all’anno. Anche in questo caso la cosiddetta “civiltà dell’auto” è un totem intoccabile del modello economico e di vita. E il governo anche qui ci ha messo lo zampino con provvedimenti, fortemente voluti dal ministro dei trasporti, di limitazione nell’uso degli autovelox, per non “opprimere” i nostrani centauri in perenne caccia di veloci ebbrezze.

Per cambiare questa condizione di rassegnata subordinazione allo status quo, di immobilismo e di mancata resilienza, di incapacità di perseguire altre priorità più virtuose ed efficaci, è la cifra di classi dirigenti sempre più evidentemente inadeguate per un mondo che invece ha bisogno di scelte coraggiose e innovative.

L'articolo Dalla crisi climatica agli incidenti sul lavoro: i costi nascosti dell’economia dei consumi proviene da Il Fatto Quotidiano.




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