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Auto: l’Europa cambia rotta, ma i nodi restano

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Lo scorso 16 dicembre l’Europa ha finalmente dato una sterzata alle proprie politiche per la mobilità, rivedendo quello che fino ad ora era stato l’elemento centrale della sua strategia: l’obbligo di immettere sul mercato, dal 2035, solo automobili a emissioni zero. Era, a questo punto, un atto quasi obbligato. La strategia della Commissione europea era già naufragata da tempo sugli scogli della realtà.

I principali produttori europei di automobili non sono in grado di offrire auto elettriche a zero emissioni a prezzi sostenibili per i consumatori europei, soprattutto quelli meno fortunati. Hanno abbandonato gli sviluppi del motore a idrogeno poiché, in assenza di un’adeguata infrastruttura di distribuzione del combustibile, il timore che la domanda sarebbe stata quasi nulla era molto forte.
L’Europa, inoltre, non è riuscita a dotarsi di un produttore significativo di batterie elettriche per veicoli e, anche se ci riuscisse, rimarrebbe comunque dipendente dalla Cina per la raffinazione del litio. E questo non perché l’industria chimica europea non abbia le competenze o le capacità tecniche per farlo, ma perché le politiche europee sulla chimica rendono praticamente ed economicamente impossibile raffinare il litio nel nostro continente, oltre a rischiare di compromettere gran parte della chimica di base europea. Il nostro continente, infine, non produce energia elettrica rinnovabile sufficiente a sostenere l’elettrificazione massiva della mobilità.
Ora, la nuova strategia prevede che ciascun produttore immetta sul mercato automobili che, in media, portino a una riduzione del 90% delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera rispetto al 2021. La differenza del 10%, rispetto all’azzeramento, dovrà essere compensata – anche se non è ben chiaro come – acquistando acciaio “verde” prodotto in Europa o utilizzando biocarburanti.
Dal punto di vista dei costruttori si tratta di un cambiamento significativo, che sposa almeno in parte il principio di neutralità tecnologica per quanto riguarda il tipo di motore e che apre esplicitamente ai biocarburanti, anche se in modo non del tutto chiaro.

Cosa dobbiamo aspettarci ora? Cosa dovranno fare, in pratica, i costruttori per rispettare il nuovo obiettivo del 90%?

Il punto centrale è capire quale riduzione di emissioni sarà associata a ciascun tipo di tecnologia. Mentre è certo che la riduzione assicurata da un’auto tradizionale è pari allo 0% e quella di un’auto elettrica al 100%, per quanto riguarda le tecnologie ibride la questione si fa più complicata: dipende non solo dal tipo di tecnologia, ma anche – per alcuni modelli – dall’ipotesi relativa al tempo di utilizzo in modalità elettrica rispetto a quella tradizionale.

Alcuni costruttori ritengono che le auto ibride plug-in (quelle con la batteria ricaricabile dalla rete) abbiano un potenziale di riduzione del 70-75%, anche se tali numeri sono contestati da altri.

Nel caso migliore, ammettendo che le stime dei costruttori siano confermate, l’obiettivo del 90% di riduzione potrà essere raggiunto solo con un parco auto composto per meno della metà da ibride plug-in e per la restante parte, quindi più della metà, da veicoli totalmente elettrici.

L’auto elettrica, insomma, rimane centrale nella strategia della Commissione. Rimangono quindi aperti, anche se con minore intensità, tutti i temi che finora ne hanno impedito lo sviluppo, tra cui l’assenza di un’industria europea delle batterie e la scarsa domanda dei consumatori per tale tipo di veicoli.

La Commissione ne è consapevole e infatti, nel nuovo pacchetto auto, include nuove misure di sussidio (oltre 1 miliardo di euro) per i costruttori europei di batterie, nonché introduce l’obbligo per le grandi aziende di costituire flotte di veicoli che rispettino determinati livelli minimi di veicoli a zero emissioni. I vincoli cambiano da Paese a Paese, ma per l’Italia, ad esempio, la proposta è che le grandi aziende acquistino, a partire dal 2030, almeno il 45% delle proprie auto totalmente elettriche e, dal 2035, almeno l’80%.

L’Europa, per uscire dall’angolo dirigistico in cui ha confinato l’industria automobilistica obbligandola a produrre solo certi tipi di veicoli, abbraccia ora un altro, non meno rischioso, tipo di dirigismo: obbligare alcuni – importanti – consumatori a comprare solo determinati tipi di veicoli (e i produttori stessi a comprare solo certi tipi di acciaio).

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio, verrebbe da dire.
Rimane poi il macigno del fatto che le due tecnologie principali che dovranno essere adottate (auto elettrica e auto ibrida plug-in) hanno, al momento, la loro leadership tecnologica non in Europa, ma in Asia.

La nuova strategia della Commissione, insomma, difficilmente sarà risolutiva. Il travaglio dell’industria automobilistica europea non è finito. Aspettiamoci nuove puntate di questa vicenda.




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