2025: L’Anno delle guerre
L’anno che va concludendosi potrà ahinoi essere definito come “l’anno delle guerre”. Dai confini asiatici al cuore dell’Africa, fino al Medio Oriente e all’Europa orientale, il filo rosso che ha unito questi dodici mesi è stato il ricorso alla forza militare come unico strumento di risoluzione delle controversie.
Un annus horribilis che ci lascia in eredità un mondo più frammentato, armato e instabile. Con la consapevolezza, ahinoi, che il futuro non necessariamente porterà risvolti positivi.
Gaza
Partiamo dall’unica guerra che ha finalmente visto una sua conclusione (almeno temporanea), il conflitto a Gaza.
La guerra, iniziata con il massacro del 7 ottobre 2023 perpetrato da Hamas, è continuata anche per buona parte dell’anno corrente, reclamando le vite di decine di migliaia di civili, morti, per la maggior parte, sotto i bombardamenti israeliani in questi due anni di conflitto urbano nell’enclave palestinese.
Grazie alla ferrea volontà del Presidente Trump e al lavoro dei mediatori arabi su Hamas, il conflitto ha fortunatamente visto una sua conclusione il 10 ottobre 2025, giorno in cui è entrato in vigore il cessate il fuoco mediato dagli Usa.
India e Pakistan
A maggio, il subcontinente indiano è tornato a ribollire come non accadeva da decenni. La “Guerra dei Quattro Giorni” tra Nuova Delhi e Islamabad ha segnato uno spartiacque nella storia militare moderna. Non più colonne di carri armati, ma sciami di droni, missili e scontri aerei a grandi distanze.
L’incursione aerea indiana, che ha aperto le ostilità in risposta a un attacco terroristico nel Kashmir, ha scatenato una dura reazione pakistana, fatta di lanci di missili e droni, a cui gli indiani hanno risposto con i medesimi mezzi.
I cieli del Punjab si sono illuminati per notti intere: droni Shahpar-II pakistani contro le difese aeree indiane, mentre l’India rispondeva con attacchi chirurgici di missili Brahmos a corto raggio.
Durante il breve scontro si è anche verificata la più grande battaglia aerea della contemporaneità, quando più di 80 tra caccia indiani e pakistani si sono fronteggiati su distanze di oltre 200 chilometri.
Il conflitto, seppur breve, ha dimostrato come la guerra sia cambiata: rapida, tecnologica e letale, fermata solo dall’intervento diplomatico d’urgenza di Washington e Pechino.
Israele e Iran
Neanche un mese dopo, la “guerra ombra” tra Iran e Israele è diventata luce accecante. L’operazione “rising lion” lanciata da Gerusalemme contro Teheran ha visto per la prima volta scontrarsi direttamente i grandi rivali del Medio Oriente.
L’attacco israeliano, arrivato come un fulmine a ciel sereno per i vertici iraniani (di cui una buona parte è stato assassinato nelle primissime ore del conflitto), ha innescato la “Guerra dei 12 Giorni”.
Teheran ha risposto con ondate senza precedenti di missili balistici (inclusi alcuni ipersonici) e droni Shahed di nuova generazione, riuscendo più di una volta a saturare le eccellenti difese aree israeliane. Israele ha replicato colpendo le infrastrutture missilistiche iraniane, oltre ai luoghi simbolo del potere (come la tv di Stato) e ai siti legati al programma nucleare e missilistico iraniano.
La guerra si è infine conclusa con il bombardamento a tappeto dei siti nucleari iraniani, fatto dagli Stati Uniti per mezzo dei bombardieri stealth B-2.
Thailandia e Cambogia
In luglio, quello che per decenni sono rimaste semplici dispute territoriali latenti attorno ad alcuni templi di confine sono degenerati in uno scontro aperto. Le scaramucce di confine, inizialmente limitate a scambi di artiglieria leggera, si sono poi trasformate in battaglie campali con l’ingresso di fanteria meccanizzata.
Nonostante il cessate il fuoco precario di agosto, l’area rimane militarizzata, con Bangkok e Phnom Penh che hanno rispolverato una retorica nazionalista che non si udiva da decenni. All’inizio di questo mese, i due contendenti sono tornati a guerreggiare, con Bangkok che ha iniziato a sfruttare pesantemente anche la sua superiorità aerea sul rivale.
Congo
In Africa i conflitti abbondano. Uno di essi, però coinvolge indirettamente due Stati. Nella Repubblica Democratica del Congo l’avanzata del movimento ribelle M23, sostenuto logisticamente e militarmente dal Rwanda, è stata inarrestabile.
La caduta di Goma prima, e di Bukavu poi, ha consegnato ai ribelli il controllo effettivo di due capitali regionali e delle immense risorse minerarie del Kivu. L’esercito congolese, disorganizzato e corrotto, si è sciolto come neve al sole, lasciando Kinshasa isolata e impotente. Non è più una ribellione; è la nascita di fatto di uno Stato nello Stato, sotto l’egida rwandese.
Sudan
La tragedia più grande, e più ignorata, si sta consumando in Sudan. La guerra civile tra le SAF (Forze Armate Sudanesi) e le RSF (Forze di Supporto Rapido) ha toccato il fondo ad Al-Fashir. La caduta della città nelle mani delle RSF, avvenuta in ottobre dopo un lungo assedio, ha scatenato quella che l’ONU ha definito “pulizia etnica sistematica”.
I generali combattono per il potere sulle macerie, mentre la popolazione del Darfur rivive gli incubi di vent’anni fa, in un silenzio quasi assordante della comunità internazionale, interrotto solo dalle immagini satellitari delle fosse comuni.
Ucraina e Russia
Infine, il conflitto che ha aperto questo ciclo di violenza: la guerra russo-ucraina. Il 2025 doveva essere l’anno della svolta diplomatica, ma si chiude con un nulla di fatto. Le conferenze di pace in Svizzera e Turchia sono fallite miseramente davanti all’intransigenza di Mosca e Kiev entrambe ferme sulle proprie posizioni.
La linea del fronte si è cristallizzata in una guerra di logoramento industriale, dove ogni metro costa migliaia di vite. L’Ucraina entra nel 2026 stremata, con un Occidente sempre più diviso sul sostegno militare, mentre la Russia ha convertito definitivamente la sua economia in assetto di guerra. Nessuna pace, nessuna vittoria: solo un sanguinoso stallo che continua a divorare l’Europa.
