L’accordo sul clima alla fine della conferenza di Parigi dovrà essere “vincolante, almeno in materia di trasparenza e revisione degli obiettivi. Sarà difficile mettere d’accordo 200 nazioni, ma sono convinto che faremo grandi cose”. Così Barack Obama a Le Bourget, in occasione del vertice sul clima di Parigi. “La Cop 21, non può solo servire gli interessi dei più potenti, ma dovrebbe ascoltare anche i più vulnerabili, tra cui i molti ‘paradisi’ tropicali e polinesiani che potrebbero presto diventare una fucina di rifugiati climatici”. ha aggiunto il presidente degli Stati Uniti. Parole che rimarcano l’importanza che questi Stati insulari, raggruppati nella Alliance of Small insular States (Aosis), stanno acquisendo in questa Conferenza sul clima, dove si è aperta la fase più tecnica delle trattative. “Senza azioni ambiziose nella lotta ai cambiamenti climatici c’è il rischio di creare nuovi ‘rifugiati’ in provenienza dalle piccole isole-stato, oggi considerate paradisi del Pacifico”, ha detto Obama auto definendosi un “ragazzo delle isole”, essendo nato alle Hawaii. L’innalzamento del livello del mare provocato dai cambiamenti climatici mette seriamente a rischio la vita di queste popolazioni, ha ricordato il presidente americano: “Queste popolazioni sono tra le più vulnerabili, alcune di queste nazioni potrebbero scomparire interamente”. Preoccupazione espressa anche dalla Commissione europea che ha voluto fare di questi Paesi dei partner privilegiati. Secondo alcune fonti vicine ai negoziati, sarebbero proprio alcuni di questi Paesi a chiedere che gli obiettivi sul contenimento del riscaldamento globale siano più ambiziosi, indicando come obiettivo globale quello di fermarsi al grado e mezzo di riscaldamento globale, invece dei due prospettati alla vigilia della Cop21. Una differenza di solo mezzo grado, certo, ma una soglia che potrebbe rappresentare, per le cosiddette ‘piccole isole’, il rimanere emerse o finire sott’acqua.