Divorzio consensuale

CHI fosse interessato alle sorti della sinistra può trarre qualche indicazione utile dalla gelida reazione di Renzi all’appello all’unità dei ‘tre tenori’ arancioni: a lui sta a cuore tutelare l’identità del suo Pd, un partito capace di conquistare voti anche nell’opinione di centrodestra. Per questo obiettivo si batte. E sull’altare della Leopolda, è persino disposto a sacrificare Roma, sapendo di poter, comunque, gettare la colpa su fattori esterni (leggi: mafia capitale). Un’alleanza con Sel, forse indispensabile per tentare di arrivare al ballottaggio nella capitale, condizionerebbe la partita di Milano, dove acquisterebbe un peso rilevante Francesca Balzani, vice di Pisapia e nei fatti sostenuta a spada tratta dal sindaco uscente. E siccome sarà l’esito delle primarie a stabilire le alleanze, è chiaro che il premier punta le sue fiches sul commissario Expo, Sala, con tutti i rischi che questa scelta comporta. Una vittoria della filiera che fa capo a Sel sposterebbe gli equilibri non solo nella città: darebbe voce a chi, nel Pd, sostiene l’esigenza di una posizione più marcatamente di sinistra anche a livello nazionale.

LA MOSSA dei sindaci era nota da giorni al Nazareno, figuriamoci a Bersani & co. Se Renzi deve fare i conti con un partito spaccato, Sel e spezzoni di sinistra non stanno meglio: paradossalmente, Fratoianni e Fassina la pensano esattamente come il segretario del Pd. Vogliono cioè andare per conto loro alle elezioni: pesarsi, per pesare di più. Par quasi una riedizione del film del 2008, quando sia Veltroni che Bertinotti volevano il divorzio, scaricando però l’uno la colpa sull’altro. Il problema è che alcuni vendoliani – come la minoranza interna ex Ds – brigano per chiudere un’alleanza unitaria, soprattutto a livello locale: ne va della loro sopravvivenza. Per dire: Orfini a Roma fa fuoco e fiamme per arrivare all’intesa con Sel. Casomai ci riuscisse, è chiaro che Renzi farà buon viso a cattiva sorte. Ma tenterà di dare lui le carte, impostando la gara sulle primarie e dunque sui nomi, piuttosto che sui programmi (come invece vorrebbe Sel) per evitare una coloritura troppo «di sinistra» dell’alleanza. Quando sente il rumore dei nemici, come è noto, Matteo non arretra: attacca.